NORD E SUD Federalismo e no. Un elenco di domande Giancarlo De Cataldo Caro Goffredo, devo confessarti di aver provato un certo disagio di fronte ali' editoriale di Bettin (giugno 1996) che sembra porre al centro delle aspettative di una parte storicamente "nobile" della sinistra il tema del federalismo. Tanto forte è stato il disagio che, a una prima lettura, mi era sfuggito qualunque riferimento al tema della solidarietà: in realtà, Bettin non ignora il problema, ma lo rincoduce, ugualmente, all'opzione - giudicata decisiva - federalista. Bettin spiega l'ansia di federalismo in termini di richiesta pressante (un bisogno avvertito "acutamente", scrive il prosindaco di Venezia) che proverebbe da tutto il Paese: dal ricco Nord-est e dall'angosciato Sud (ma Bettin preferisce, sintomaticamente, l' espressione Meridione). Ti confesso di non riuscire a essere mm1mamente coinvolto dal dibattito sul federalismo: e per quanto può valere l'esperienza di un terrone in trasferta f erenne, non mi sembra che i Sud, o se preferisci il Meridione, sia percorso da fremiti federalisti. A parte, naturalmente, Cito: ma, secondo me naturalmente, Cito è l'unico pendant possibile della Lega in un contesto socio-economico che proprio la nostra rivista sta analizzando e raccontando con ben altra capacità e consapevolezza. E queste cose le abbiamo scritte in tempi niente affatto sospetti. Personalmente, ho addirittura sperato che la mia - non isolata - indifferenza verso il "grande tema" del federalismo fosse condivisa dalla maggior J?arte di quelli che contribuiscono a fare "La Terra vista dalla luna". Non dico di esermi augurato che non se ne parlasse affatto: ma se proprio si deve pagare questo ennesimo tributo alle emergenze massmediologiche (vorrei dire alle mode, Goffredo ), che almeno lo si faccia in termini più laici. È che Bettin dà l'impressione di riversare nella riforma federalista un'attesa messianica sim.ile a quella che il movimento operaio storico affidava all'imminente, irrevocabile, storicamente certo avvento del Socialismo. Il sol dell'avvenire, insomma, le cuoche che governano lo Stato, la liberazione dell'uomo dalla schiavitù del lavoro, il recupero della libertà attraveso la civile convivenza governata dalle menti illuminate della classe operaia: ora sorridiamo di questi sogni antichi, e un po' la memoria storica di ciò che essi hanno prodotto ci fa arrossire. Sostituire a tutto questo il federalismo non fa sorridere: inquieta. C'è un tono da ultima spiaggia che rimanda alla consolidata tecnica delle "single issue politics": per restare agli ultimi anni di storia patria, di volta in volta siamo stati costretti a occuparci dell' emergenza terrorismo (solo battendo le Brigate Rosse si salvava la democrazia, a qualunque costo), dell'emergenza . droga (do you remember la legge Vassali-J ervolino, che avrebbe salvato l'Italia attraverso la galera per i tossici?), dell'emergenzacustodia cautelare (estate '94: solo limitando la custodia cautelare si poteva salvare l'Italia). E ogni volta la sinistra è stata trascinata a forza in un dibattito che si agitava nel vuoto pneumatico di ogni memoria storica, di ogni razionalità: inseguendo le sparate di chi urla più forte, il tema del momento, mediando e ricucendo, in attesa ... in attesa di cosa? Ora Bettin - e la parte della sinistra che rappresenta - sono accanto a quelli che strillano forte. E avviano le trattative come il Tamerlano di Marlowe: esercito alle porte, arrendetevi e vi perdoneremo, protestate e vi stermineremo. Che senso ha un'affermazione come "il permanere di uno Stato centralistico e ottusamente burocratico, un po' assistenziale e un po' clientelare, sprecone, oppure, ali' opposto e ancor peggio, ugualmente accentratore ma convertito al mercato e al liberismo spinto, al taglio della spesa sociale, rappresenterebbe il peg~ior fattore di crisi democratica che si possa immaginare, e, insieme, I' elemento più pericoloso di un devastante attacco al sistema di tutela sociale"? Essendo fallito l'attentato per via rivoluzionaria, oggi lo Stato lo dobbiamo uccidere per via federalista? No more cuoche, dieci, cento, mille borgomastri? L'ottusità è un predicato di ogni organizzazione centralistica, a prescindere dagli uomini che le dirigono e articolano, dalle politiche che li indirizzano, dalle culture che li formano e che essi stessi contribuiscono a formare? La sinistra non ha alcuna parola da spendere in proposito che non sia quella della "disarticolazione"? Non c'è più nessuna funzione laicamente educatrice da riconoscere agli uomini che lavorano dentro le istituzioni? Che combattono le economie criminali? Che cercano di trasformare il carrozzone della Sanità operando con intelligenza e senso del dovere? Sto vivendo una vita da idiota (o se preferisci da sentinella asburgica alla vigilia del crollo dell'impero, pensa che paradosso per un proniP,Otedi arabi!) mentre altrove illuminate intelligenze politiche hanno centrato il nocciolo della questione? Dobbiamo destrutturare lo Stato lasciando al "centro" solo (cito ancora Bettin) "la grande pianificazione, la difesa, la politica estera, e poco altro". In questo poco altro rientra la scuola? Se no, il problema, nel nord-est, è risolto già da oggi, se sono vere le statistiche che riferiscono di una costante fuga dall'istruzione. In questo poco altro rientra la Giustizia? A Bossi non piacciono i magistrati meridionali e nemmeno i maestri terroni: a Bettin? Sono stato educato a pensare che la solidarietà non ha colore, ideologia, accento dialettale: a capire il profondo Nord mi ha aiutato proprio, con i suoi libri, uno come
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