In questo scenario si inseriscono di prepotenza i partiti religiosi e due nuove formazioni, quella degli immigrati russi che fanno capo a Ntan Sharanskij, e la "terza via" che raggruppa gli abitanti delle alture del Golan, il territorio conquistato alla Siria e che Damasco chiede irtdietro come condizione di pace. E se il partito di Sharanskij non si pronuncia sul nome del primo ministro, flessibile a qualsiasi alleanza, a due settimane dalle elezioni i partiti religiosi - in genere pragmatici - chiedono ai loro elettori di votare per Netaniahu, trascinando. quindi i voti non solo dei coloni più fanatici che vivono nei territori palestinesi, ma anche dei più moderati. Il paese è spaccato come mai nella sua storia. E la notte dei risultati lo rivela con una alternanza drammatica, di meno di un punto percentuale, prima a favore di Peres e - all'alba, definitivamente - per Netaniahu, che si aggiudica la vittoria con uno scarto di meno di trentamila voti. Su questo risultato pesa anche, come una condanna, la scheda bianca di decine di migliaia di arabi con cittadinanza israeliana, che non hanno perdonato a Peres la strage di Cana. Per metà del paese la vittoria di Netaniahu, e soprattutto l'avanzata schiacciante dei partiti religiosi (un sesto del nuovo parlamento e un terzo della nuova maggioranza) significa un capovolgimento del sionismo laico che aveva ispirato i padri fondatori d'Israele. Sìgnifica regole sempre più restrittive nella vita di tutti i giorni, soprattutto a Gerusalemme che tende a diventare sempre più città confessionale. Ma soprattutto la leadership di Netaniahu - affiancato da giovani tecnocrati, ma anche da vecchi falchi come gli ex generali Eitan e Sharon - significa uno stallo pericolosissimo, se non addirittura la fine della via della pace intrapresa con i palestinesi e con gli altri popoli della regione. Nel programma del Likud, infatti, sono ribaditi alcuni "no" su punti fondamentali: no alla possibilità di uno stato palestinese, no al blocco degli insediamenti nei territori, no alla restituzione del Golan, no a qualsiasi discussione sul futuro di Gerusalemme. Netaniahu, poi, nel suo discorso d'investitura, anche se aperto nei confronti di quelli che chiama "vicini", non ha mai nominato gli accordi di Oslo e soprattutto il ritiro dell'esercito da Hebron, l'ultima città della Cisgiordania che doveva essere liberata entro la fine di marzo. Hebron - dove vivono asserraglia ti quattrocento coloni ebrei - sarà il banco di prova per capire se il nuovo governo israeliano terrà fede agli accordi presi internazionalmente o cercherà di ripristinare il sogno biblico della grande Israele, giocando una partita che può diventare estremamente rischiosa. Il popolo palestinese dei territori ha combattuto infatti negli ultimi anni, con forze impari, una rivolta che nulla ha che vedere con il terrorismo e che ha dato nuova dignità alla sua ansia di identità nazionale. E quella rivolta è una bomba ancora innescata. Per quanto riguarda Paesi Arabi, anche quelli già in pace con Israele, come Egitto e Giordania, la loro preoccupazione è grande. Tanto da portare nazioni,in contrasto storico fra loro a riunioni e incontri per una strategia comune nei confronti del cambio della politica israeliana. La partita è comunque aperta. Alle spalle d'Israele c'è l'alleato e protettore di sempre, l'America. E molto vorrà dire il risultato delle prossime elezioni presidenziali americane. Clinton, che durante la campagna elettorale si è personalmente esposto a favore di Peres, non può però prescindere, in termini di voti, dalla potente lobby ebraica del suo paese. Quindi per il momento potrebbe allentare la pressione su Gerusalemme per il compimento di quegli accordi di pace, maggiore vanto della sua amministrazione in politica estera. La sua rielezione comporterebbe probabilmente unarichiesta in questo senso a Netaniahu. Nel frattempo, però, Israele e tutta la regione P,Otrebbero affrontare mesi difficili, con conflitti interni ed esterni. ♦ Y.QQ
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