La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 16 - giugno 1996

fonte del diritto, al di là dello stato e della sovranità, su cosasi basa? Molto importante è l'idea di "regola". Una cosa che mi ha sempre colpito è la questione che sorge circa lo statuto della regola francescana, che san Francesco non chiama regola, ma forma di vita. E c'è un'aspra lotta tra l'ordine francescano e il papato su questo statuto di regola che non è regola, ma vita. Nel suo intervento, Bartolo di Sassoferrato si domanda se tale regola costituisca una forma di diritto o meno. Perché è in questione di una vita che si fa essa stessa regola, e però per questo non è regola. Questo di cui parli è però un casoparticolare, perché si tratta di una comunità monastica, di individui che hanno liberamente scelto l'isolamento. Per Tommaso d'Aquino, ad esempio, la dimensione del diritto è la dimensione dell'etica "in quantum est ad alterum", cioè una dimensione di esteriorità (ma anche di rapporto con l'altro). Contro la concezione moderna che pone al centro la coazione statale, questa posizione afferma una reciprocità visibile e quindi normabile. Ma è ancora possibile un diritto che non ha necessità di sanzioni? E come sipone il problema del conflitto tra diverse f orme di diritto? E ancora: in questo tuo libro le figure centrali sono il sovrano e !"'homo sacer", uccidibile ma insacrificabile, perché sono i due poli che eccedono una struttura, di cui svelano l'impalcatura formale. Quello che non dicono, questi due estremi, è il contenuto. Tu ti poni in realtà, all'inizio del libro, delle domande molto concrete, dopodiché invece, nel corso del lavoro, si assiste a una sorta di sistemazione teorica del problema. È un libro di attualità il tuo, non solo di filosofia. E, almeno in questa prima parte del tuo lavoro, tu non hai dato realmente risposta alle domande poste in principio; non hai di fatto suggerito delle vere ipotesi alternative, mentre in qualche modo ti proponi di darle, o almeno così ci si aspetterebbe. Parli con grande coraggio di cose successeieri, oggi, la Bosnia, il Ruanda. E leggendoti si coglie qualcosa di profondamente vero, ma anche ci si aspetta qualcosa di più. . Ma il contenuto è la vita degli uomini, non la legge. Pensiamo all'ex-Jugoslavia: come è possibile che l'ex-classe dirigente dei paesi socialisti si sia trasformata nel giro di tre mesi in classe razzista? Se ci pensi è impressionantissimo. Milosevic era il comandante di una classe dirigente socialista; questo vuol dire che c'era una dimensione biopolitica che ci sfuggiva del tutto, perché quella nazista era evidente, l'altra forse era camuffata dietro una dimensione di lavoro, di collettività (i campi di lavoro, che costituiscono una percentuale altissima della produzione dei paesi socialisti). Non teorizzata come nel modo nazista, ma questa dimensione c'era anche qui. Oggi tutta la politica è ridotta a diritto, e si vuol far credere che accordi di tipo giuridico sono la politica. La follia del contemporaneo è ,pensare che la soluzione è il diritto. Ma il diritto, la legge è anche quella emanata dal Terzo Reich. Il problema è l'uso che si può fare del diritto. Il modello del campo di concentramento, sul quale tu di fatto costruisci l'ambizioso pro- [;_ettodel tuo libro, è davvero un modello così forte da poter valere come paradigma fondamentale? Tu parli di un processo di denazionalizzazione, e del campo di sterminio come esempio supremo di "nuda vita". Ma davvero, come tu dici, l'antisemitismo è un 'espansione della biopolitica? Come si legano effettivamente insieme le due cose, anche e soprattutto da un punto di vista storiografico? Una generazione di studiosi, nel dopoguerra, ha parlato dei campi come di una forma estrema di ''follia razziale". In seguito, a partire dagli anni Ottanta, è prevalsa invece un'attenzione al mondo dei medici, degli psichiatri e degli scienziati, al mondo dell'eugenetica (è stato anche fatto un paragone tra le teorie genetiche americane e l'antisemitismo). L'antisemitismo è sì una forma di biopolitica, come l'eugenetica, ma una forma in cui è stata immesia anche la nozione di mito. E dentro il "labirinto razziale" del mondo nazista ci sono due logiche: da una parte razza tedesca/salute della razza (biopolitica); dall'altra "razza tipologica"/razza nordica/rafforzamento delle élites. Due diversi approcci quindi, uno mitologico rivolto alle origini, l'altro rivolto a purificare la razza. Non pensi che considerare come generatore del campo la sola biopolitica significafare ricorsoa una sostituzione (per cui a un modello di origine composita, prevalentemente religiosa, si sostituisce un modello invece scientifico), e non credi che ciò sia riduttivo per spiegare il fenomeno del nazismo e del campo di sterminio? Io ho cercato di cf efinire il campo secondo due parametri fondamentali: il suo essere da un lato uno "spazio dell'eccezione", dall'altro un assoluto spazio biopolitico. Non condivido la tua contrapposizione, perché si tratta di intendersi sul significato del termine "biopolitica", utilizzato per primo da Foucault (che lo ha lasciato però abbastanza indefinito). Nel corso della mia ricerca, una delle cose più sorprendenti è stato vedere come, contrariamente a quanto ci si aspetti, il concetto di vita non è assolutamente un concetto scientifico o medico-scientifico. Già in Grecia, non si incontra mai una definizione del concetto di vita; e questo vale ancora nella biologia moderna, dove i concetti di vita e di morte sono ritenuti di basso contenuto scientifico. Dunque, curiosamente, nella nostra tradizione il concetto di vita si è rivelato essere piuttosto un concetto teologico-politico. Per questo la biopolitica non è riducibile ali' eugenetica: essa non significa che a un certo punto lo stato ricomincia a interessarsi alla nozione di vita. Piuttosto, biopolitica è un concetto in cui è in questione la definizione di che cos'è politica, non l'asservimento della politica a criteri - scientifici/eugenetici o mitologici - esterni. La politica non è, allora, solamente "cura" del popolo per ragioni eugenetiche; al contrario, essa non è altro che questa continua formazione e decisione di quello che è il vero soggetto politico, il corpo biopolitico. Per questo il campo mi pare essere il nuovo nomos, principale paradigma politico, luogo della "nuda vita", cioè della vita senza valore, assolutamente esclusa dal politico, ma dove è in questione la definizione della vita tedesca. Come se il concetto di popolo, di nazione, portasse al suo interno questa scissione biopolitica: ogni volta che si tratta di inscrivere la vita umana nell'ordine giuridico-politico, ci sarà una vita esclusa e una vita inclusa. È una frattura che in qualche modo attraversa tutta la politica, e quel che ho cercato di spiegare è come ciò emerga con particolare forza negli Stati totalitari, che sono Stati dichiarataIDEE

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