La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 16 - giugno 1996

della Comunità europea presentano una curiosa somiglianza. Una volta, parlando con un giurista francese ho saputo che il modello di riferimento, per i funzionari che avevano ideato queste zones, è stato quello dei duty-free. Da un punto di vista ~iuridico, la zona "duty free" è una zona in cui è sospesa una sola legge, quella delle tasse. Ma si è pensato di estendere la medesima forma giuridica a tutte le leggi, e si è creata così una zona che è nel territorio francese, ma dove tutto è sospeso. Dal punto di vista giuridico è uno spazio di eccezione: prima che intervenga un magistrato devono passare quattro giorni, e l'individuo in questi quattro giorni vive senza legge (ma sappiamo che in simili spazi si può vivere in attesa di giudizio anche per un anno). Il problema che mi sono posto non è come queste persone vengono trattatè, ma il dato teorico per cui in questi casi si ha a che fare con uno stato di eccezione. L'analogia mi pare consistere in questa sospensione dell'ordinamento giuridico, che fa sì che gli individui siano considerati come "nuda vita". È un'analogia formale e non sostanziale, ma a mio avviso pericolosissima. Però tu riproponi l'uccidibilità come criterio valido per giudicare queste zone. Nel caso ad esempio delle periferie, ma anche degli emigrati, le cose sono forse più complicate. Mah, ero stato molto colpito, l'anno scorso, a Los Angeles, da quelle zone chiamate gatedcommunities, interi quartieri anche di quarantamila abitanti, che a un certo punto si sono totalmente recinti. Sono vere e proprie comunità chiuse e autodifese, con ingressi sorvegliati da persone armate: autoghetti, che danno luogo a città nuove, con particolari condizioni di appartenenza. Mi interessava l'assoluta indistinzione tra privato e pubblico, perché sono casi in cui non si capisce più il margine tra diritto pubblico e diritto privato. E vedi il problema dello statuto giuridico delle riserve indiane ... Si resta molto colpiti, leggendo il tuo libro, da una fondamentale assenza dell'etica. È vero che tu dai una definizione di "biopolitica" come "indifferenza tra natura e politica"; è anche vero però che esordisci e concludi il saggio con delle affermazioni molto gravi, parli di una catastrofe attuale o imminente, e della necessità di ripensare in modo profondo e radicale alcune categorie politiche per evitare che questa catastrofe si verifichi. Ma come può avvenire questo ripensamento senza l'inclusione dell'etica? Anche quando parli ad esempio del "popolo", mettendo in relazione il "Volk" tedesco con la lotta di classe e il marxismo, o quando parli dell'eccidio degli ebrei, come mai non dici che esso ha segnato una frattura profonda, insanabile, tra l'etica e lapolitica? Si è parlato moltissimo di "bio-etica". Ma è un discorso sempre contrassegnato da una vacuità di fondo, che ha lasciato cadere la biopolitica foucaultiana, e l'ha ritradotta in una pappa bioetica che fa da consulente a problemi IDEE

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