La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 16 - giugno 1996

scuola o di aiutarli a intraprendere un percorso di disintossicazione dalla droga? Significa conoscere e applicare la grammatica della giustizia, attivando dei percorsi che, fuori dal circuito penale, tentano di accogliere il ragazzo in una rete di relazioni nuove con le istituzioni. Per i ragazzi che beneficiano della "messa alla prova", il rapporto con il giudice, l'avvocato e l'istituzione giudiziaria in sé, vissuto spesso con rabbia, paura e diffidenza, è sostituito dal rapporto con le assistenti sociali del Servizio minorile ministeriale affiancate talvolta dallo psicologo e da altri operatori sociali dei servizi locali. E sono gli operatori e le operatrici sociali quindi che seguono il ragazzo con colloqui frequenti, che prendono contatti con la famiglia e gli amici, che tentano poi la concretizzazione del progetto favorendo l'inserimento lavorativo, scolastico o in comunità. È evidente che il quadro di criminalità minorile fin qui tratteggiato, così come è emerso dal monitoraggio sull'applicazione della "messa alla prova" nel veneziano, individua in realtà una delle grandi frontiere della giustizia nella società contemporanea. Se pensiamo poi agli intrecci che la criminalità minorile assume in alcune zone del Centro e Sud d'Italia con la grande criminalità organizzata o alle più recenti manifestazioni di devianza giovanile - lancio di sassi dal cavalcavia, stupri, consumo e spaccio di ecstasy in discoteca, ecc. - che si verificano in contesti apparentemente normali, risulta ancor più evidente che affrontare questi fenomeni è diventato cruciale per la nostra civiltà. E ancor più cruciale è osservarli in profondità e nominarne le ragioni. Le frontiere della criminalità minorile nelle sue diverse forme segnano in realtà le frontiere della società contemporanea, le zone limite in cui la civiltà è messa in scacco. Uno scacco che mina le radici stesse della comunità. Se le nuove tendenze di devianza si manifestano oggi anche nei luoghi della "normalità" - famiglia (basti pensare all'omicidio dei genitori commesso da Pietro Maso), discoteca, strade cittadine, gruppi d'amici - con forme di criminalità più insidiose e complesse, ciò significa che questi sono i sintomi di una crisi più grande. Non a caso le donne autrici del periodico "Sottosopra" (gennaio '96) edito dalla Libreria delle Donne di Milano nominano la crisi contemporanea come "fine del patriarcato". "Il patriarcato non era controllo della sessualità femminile e basta - si legge in "Sottosopra". Era, tutto insieme, anche una civiltà, con le loro istituzioni, le loro religioni, i loro codici ... All'ordine simbolico del patriarcato sono riconducibili istituzioni come i parlamenti, gli Stati, la legge uguale per tutti, i tribunali, gli eserciti, istituzioni che si considera moderne, che si continua a considerare indispensabili, sebbene per alcune di esse la crisi sia già ali' orizzonte". È accaduto non per caso s'intitola "Sottosopra" di gennaio '96 per dimostrare che non per caso si sta aprendo questa crisi. Crisi profonda, profondissima, che rischia di diventare crollo della civiltà, catastrofe, se non si renderanno visibili e non si valorizzeranno proprio dentro i conflitti, le complessità, e i disordini del quotidiano, i varchi nuovi, oasi di speranza, che attraverso pratiche di mediazione tra uomini e donne (ma anche tra italiani e stranieri, ricchi e poveri, cattolici e musulmani ecc...), permetteranno di rinegoziare nuove istituzioni, nuovi (!rdini politici, economici e sociali. La filosofa americana Elisabeth Wolgast mutua da Ludwig Wittgestein il concetto di forma di vita: ogni bambino e ogni bambina crescono in una forma di vita e giorno dopo giorno imparano espressioni per intenzioni, d~sideri, asp_ettative in un pr_ocedimento che viene assorbito senza essere msegnato, senza indagine, senza descrizione o spiegazione verbale5 . Se ne deduce che la comprensione e lo sviluppo morale sono intrecciati come la comprensione di un ordine e della risposta corretta a esso. Padroneggiare la parte morale del linguaggio significa quindi sviluppare un insieme di pratiche e di modi di trattare gli altri, un rispetto per le responsabilità. I ragazzi protagonisti delle storie di "messa alla prova" esaminate, ma anche altri e altre protagoniste delle vecchie e nuove forme di criminalità minorile mostrano varchi spaventosi e devastanti nel loro processo di crescita inteso come forma di vita. Varchi che diventano voragini nella rete di relazioni che riguarda i più stretti rapporti familiari, ma anche i rapporti tra sé e i propri coetanei e tra sé e il tessuto sociale circostante. Varchi che, come già evidenziato, non riguardano soltanto i ragazzi "per male" quasi "predestinati" alla devianza, ma anche, sebbene in altre forme e altri contesti, ragazzi "per bene", cresciuti in famiglie e ambienti cosiddetti "normali". Esplorare questi varchi significa allora, per gli operatori e le operatrici sociali in relazione con il minore, avere il coraggio di attraversarli fino in fondo per arrivare poi a "ri-tessere" rapporti e risorse esistenti in un nuovo disegno. La pratica attivata nei progetti di "messa alla prova" cela sotto l'obiettivo dell'inserimento scolastico, lavorativo, ecc., un lavoro di ricostruzione e recupero del sé del minore che si gioca proprio in una ricontrattazione con l'operatore o l'operatrice. Si realizza così una contrattazione e messa in gioco di energie tra rappresentanti delle istituzioni, minori e nei loro ambienti di vita, che possono portare a potenziare le capacità di sopportazione della propria situazione familiare da parte del ragazzo, a fargli scoprire in se stesso alcune capacità manuali o creative, a farlo sentire, poiché depositario della fiducia (scommessa) altrui, in grado di essere anch'egli più fiducioso verso gli altri/le altre. L'esito positivo del progetto di "messa alla prova" può coincidere allora non strettamente (così come sancito anche dalla legge) con l'adempimento concreto di tutto ciò che era stato previsto inizialmente, ma con l'arrivo di un processo di maturazione del minore. È attraverso questa pratica che l'agire delle istituzioni incarnato nei gesti e nelle parole degli uomini e delle donne che le rappresentano (assistenti sociali, operatori, ma anche giudici, avvocati, insegnanti, ecc.) insieme all'agire delle famiglie, degli amici, laddove siano recuperabili, possono ridurre la frequenza e la gravità dei reati che pur continueranno a commettere. Ed è questa pratica che può af rire la strada a quanto intuito da Simone Wei come spazio in cui sia possibile superare la contraddizione fondamentale tra diritto e giustizia: "Al di sopra delle istituzioni destinate a proteggere il diritto, le persone, le libertà democratiche, occorre inventarne altre destinate a discernere e ad abolire tutto ciò che nella vita contemporaBUONI E CAHIVI

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