fronti mentre vengono finanziati buona f arte dei progetti presentati dagli enti locali (i nostro comune perderà poi il finanziamento accordato per non avere avviato il progetto presentato) e dalle grosse associazioni con referenti nazionali (Arei, Caritas eccetera). Non ci resta quindi che continuare con tante idee e pochi mezzi. Nel frattempo emerge la consapevolezza che il doposcuola, da solo, non è sufficiente. I bambini hanno bisogno di sfogare le loro inesauribili energie in qualcosa che sia altro rispetto all'impegno scolastico, che per loro può essere, a causa di enormi diJficoltà di apprendimento, espressione e comunicazione, ragione di frustrazione rispetto ai loro coetanei. Occorre trovare qualche attività in cui essi siano bravi quanto o più dei loro compagni di scuola, che fossa inorgoglirli e renderli consapevoli che i loro destino non è necessariamente quello di essere i "somari", i "ritardati", i "perdenti". Proviamo allora a mettere in piedi un piccolo laboratorio teatrale. All'inizio si tratta semplicemente di esercizi finalizzati a sbloccare le inibizioni espressive e comunicative e per insegnare ad adoperare il linguaggio dei movimenti. Poi cominciamo ad allestire una breve drammatizzazione, adattata per l'occasione, di una bella favola, il Racconto di Natale di Buzzati. Questa volta l'esperienza è molto intensa, dal momento che per poter realizzare lo spettacolo al termine delle vacanze natalizie è necessario incontrarsi e provare ogni giorno. Il gruppo degli operatori è costituito in prevalenza da giovani poco più che ventenni, eccezion fatta per Giovanni che ha qualche esperienza di teatro e che cura la regia. Vengono a determinarsi quindi dei momenti di tensione tra di noi. Due scuole di pensiero - senza alcun riferimento teorico, s'intende - vengono · a confrontarsi. C'è da un fato chi ha un approccio emotive:sporÌtaneistico e ritiene che, essendo il nostro interveRto complementare e non sostitutivo di quelli. istituzionali, vada riempito il vuoto di-affettività che i bambini dim·ostrano. Il rapporto umano deve quindi essere erivilegiato. Dall'altro lato c'è invece chi sostiene che l'operatore non debba perdere di vista il suo ruolo di educatore, mantenendo una certa distanza. Imparare a rispettare le regole che si sono concordate insieme, ricevere gratificazioni per il lavoro che si è comeiuto (la rappresentazione finale) è quello che più può giovare ai bambini, anche a costo di qualche ruvidità. Questi orientamenti di fondo emergono, ovviamente in forma esplicita e senza linearità, allorché si discuta, ad esempio, se le punizioni stabilite debbano poi essere seguite, se è opportuno che i ruoli dei diversi operatori del gruppo siano fissi o intercambiabili, se e fino a che punto i "capricci" delle ragazzine in età già preadolescenziale debbano essere assecondati. I bambini d'altronde_ riescono a cogliere q~este diversità di atteggiamento e ne approfittano, e questo rischia di depotenziare l'efficacia dell'intervento. Mi è accaduto spesso in quei giorni di chiedermi se tutta quell'improvvisazione, quello spontaneismo non possa farci correre il pericolo di essere velleitari, e quindi dannosi per i bambini. Peggio, mi è capitato di chiedermi se tutta la nostra buona volontà non sia in fin dei conti, e inconsciamente,, una forma sublimata di auto-gratif,cazione o auto-assoluzione. Il pedaggio che ci sentiamo di dover pagare per vivere in un mondo ingiusto senza nemmeno essere disturbati dal senso di colpa. L'esperienza del teatro è riuscita nei suoi intenti, comunque. Molti dei bambini si sono sbloccati, come Domenica, che era stata una fra i bocciati di prima elementare e che, quando l'abbiamo conosciuta, quasi non riusciva a parlare. Altri hanno avuto l'occasione per reagire a situazioni familiari disastrate o, come pure dicono gli assistenti sociali con una brutta parola, "multiproblema" (tossicodipendenza, disoccupazione, alcolismo dei genitori eccetera). Altri ancora hanno vissuto l'esperienza del contatto tra ambienti socio-familiari diversi fuori dalla mediazione, spesso stigmatizzante, della scuola: Mino, Donatella, Alessandra e Francesco, che non vivono nella "167" e che provengono da famiglie "normali", hanno stretto con i loro coetanei delle amicizie che sono proseguite al di là delle attività di gruppo. Attività che continuano ogni sabato con Paola, che studia all'accademia di Lecce, e che insegna con successo a lavorare la cartapesta o a realizzare i collage o a usare i pennelli._ La scoperta di linguaggi diversi, come quello del corpo, dell'arte, del gioco ci è sembrato, peraltro, il modo migliore per mettere i bambini di fronte alla parte migliore di loro. E non è un caso che essi continuino anche per proprio conto a cercare forme di espressione e di protagonismo, che vanno dall' organizzazione di serate canore in stile Sanremo all'allestimento di uno spettacolo circense con tanto di acrobati e clown. Paradossalmente questi bambini hanno saputo conservare, o far rivivere, quel senso della comunità infantile che altrove èperso. L'infanzia dei giorni nostri subisce in fatti un pericoloso processo di atomizzazione. Ogni bambino vive all'interno del suo condominio, ignaro dell'esistenza del coetaneo dirimpettaio, in compas.nia di televisione e videogame senza la possibilità di fare incontri che non siano istituzionalmente previsti e programmati (gli unici momenti di socialità sono asili e scuole, al limite i gruppi sportivi, ove peraltro vengono spesso privilegiate le discipline individuali). Nelle periferie invece esiste ancora la strada, come luogo di socialità, di gioco, come luogo del gruppo informale, a cui ciascuno può aggiungersi per il solo motivo di abitare nei paraggi. Per strada i giochi sono poveri e richiedono pochi attrezzi e molta fantasia, per strada conta il gruppo e non l'individuo, contano le solidarietà più che le proprietà. Se c'è qualcosa che mi ha impressionato dei bambini della "167" è proprio la dimensione comunitaria in cui si muovono e pensano. Si tratta ovviamente di una comunità sui generis i cui equilibri interni sono instabili e precari, in cui il conflitto è elemento costitutivo dello stare insieme. Il loro è un vero e proprio microcosmo in cui si alternano slanci di generosità che stupiscono e impeti aggressivi che sconcertano, in cui coesistono l'innocenza dei poveri d'altri tempi e la malizia della miseria suburbana moderna. Le loro relazioni reciproche sono impregnate di quella sottocultura fatta di urla, bestemmie, insulti, mazzate, miti televisivi - "Spazzenegher", "Gianclovandamm ", "Ambra", "Biutiful" e "Tecdet" - e sportivi appresa in famiglia e per strada. Sanno però di essere tutti nella stessa barca e di doversi aiutare, almeno fra di loro. ♦ BUONI E CAITIV!
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