La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 16 - giugno 1996

lo fondamentale di una serie di interventi finalizzati alla "normalizzazione" del ragazzo. Poiché il lavoro, insieme alla retribuzione (possibilmente non "a nero") e al sostegno psicologico, che può venire da parte dell'operatore il quale ha in carico il minore, costituiscono una risposta determinante nei casi in cui la devianza minorile è strettamente alle problematiche del sé, all'identità, alle capacità di relazioni con l'esterno (che, nella nostra esperienza riguardano la maggior parte dei minori). Purtroppo, specie al Sud, ci si è concentrati molto poco sulle possibilità lavorative del minore "a rischio", con la scusa che "non c'è lavoro", mentre una razionalizzazione e una maggiore selezione dei progetti comporterebbe una ridistribuzione dei fondi, da stabilire su criteri diversi da quelli adottati fino ad oggi, al fine di garantire al minore il supporto di una rete di interventi e attività che lo seguano dal- !' età di 4-5 anni fino, almeno, alla maturità. La situazione attuale, alquanto deprimente, è che si riesce a seguire, con attività come le nostre, il minore dall'età di 4-5 anni fino a un massimo di 13-14 ànni, abbandonandolo in una fase particolarmente critica per i suoi cambiamenti evolutivi. Nessuno di noi in questa fase riesce a essere utile, non siamo stati capaci di sviluppare programmi specifici, né nelle nostre cooperative è stato possibile assorbirli, perché mancano i fondi necessari a pagare gli stipendi persino alle figure specializzate. Il tentativo di convincere altre aziende produttive ad assumerli ottiene riscontri negativi per motivi economici oltre che di pregiudizio. Le cooperative sociali di tipo B sono pochissime e strapiene di utenza. Bisognerebbe organizzare i ragazzi in nuove cooperative sociali che offrono servizi di vario genere, a seconda della formazione che il ragazzo avrà precedentemente ricevuto. Ma anche quest'ultima possibilità quasi sempre si risolve in un'utopia, mancando, a livello comunale, provinciale e regionale, un personale politico capace di farsi carico di tali bisogni. Il che vorrebbe dire riconoscere a questi ragazzi una propria personalità, un ruolo sociale e produttivo. Certo ci sarebbero i progetti europei, che dalle nostre parti restano un grande mistero, perché non ci sono sportelli (tranne quelli di qualche banca) o uffici lnformagiovani in grado di portare alla conoscenza del pubblico i progetti e soprattutto di aiutare il pubblico a prepararli. E un meccanismo perverso quello dei fondi europei, tenendo conto che la Regione Puglia ha mandato indietro centinaia di miliardi non utilizzati e che, per saperne di più e scrivere materialmente il progetto, bisogna rivolgersi ad agenzie e sedicenti esperti che chiedono compensi oscillanti fra i 5 e i 15 milioni, solamente per la presentazione del progetto, al di là della sua eventuale approvazione. Se va bene, ci si imbatte in "esperti" che si accontentano, per così dire, di percentuali tra il 20% e il 30% della somma approvata. Di fronte a questo circolo vizioso, spesso chi gestisce cooperative si tira indietro e, mancando un coordinamento e una rete a cui poter far riferimento, il tutto si risolve nella solita e sterile lamentela. In assenza dell'anello lavorativo e produttivo, si ha la sensazione che l'intero lavoro di sostegno scolastico, sostegno alla famiglia, sostegno e assistenza psico-pedagogica, sviluppo delle capacità espressive nel minore, portato avanti per lunghi anni, serva a poco. Salvo poi sorprendersi del perché, dopo tanti anni passati insieme a costruire, correggere, tamponare e a stabilire rapporti di confidenza, si incontrano questi stessi ragazzi per strada a vendere sigarette o qualcos'altro. Se si riesce a capire che sulla qualità e quantità dei servizi sociali si gioca il nostro futuro, diventa comprensibile la pretesa, da parte di noi stessi, di capacità e volontà organizzative, progettuali e di coordinamento, completamente diverse da quelle dimostrate fino a oggi. Una volta diventati un corpo unico, all'interno del quale ognuno svilupperà un proprio settore lavorativo, risulteremo anche più credibili agli occhi dei politici e degli imprenditori locali e avere la voce per pretendere soluzioni politiche ed economiche, in grado non di tamponare ma di risolvere il grosso problema della devianza minorile. E non si tratta di soluzioni impossibili: in questi anni in cui il lavoro, nelle sue forme tradizionali, si sta esaurendo, il sociale o il cosiddetto terzo settore potrebbero attribuirsi la funzione di fornire una quantità sempre più ampia di servizi di base, approfondendo i legami sociali, migliorando le infrastrutture locali e trasferendo maggiori guadagni della produttività dal settore privato al settore sociale. È chiaro che solo uno sforzo concertato e determinato da parte del terzo settore potrebbe fornire i servizi sociali di base e avviare il processo di rivitalizzazione dell' economia sociale. In una politica economica diversa i disoccupati permanenti potrebbero essere impegnati in attività significative del terzo settore, contribuendo alla ricostruzione della comunità a cui appartengono: sarebbe una politica sociale ed economica che incoraggi una maggiore partecipazione alle attività del terzo settore anche di chi è già occupato, attraverso una detrazione fiscale per ogni ora di lavoro prestata in un'organizzazione socialmente impegnata. In questo modo, se da un lato si registrerebbe una diminuzione delle entrate tributarie, dall'altro questa sarebbe probabilmente più che compensata dalla diminuzione di costosi programmi statali per coprire eventuali servizi; e, ancora, una diversa politica economica che garantisca un salario sociale - in alternativa all'assistenza pura e semplice - per soggetti poveri, in cambio di lavoro da prestare presso organizzazioni del terzo settore, creando un nuovo le~ame di fiducia e un condiviso senso di dediz10ne al benessere collettivo e agli interessi della comunità in cui si vive. Se poi si riuscisse a regionalizzare i contributi provenienti dalle varie leggi ministeriali, sarebbe più semplice per gli operatori avere rapporti di conoscenza, confronto, verifica e controllo con le istituzioni ( cfr. J. Rifkin, La fine del lavoro). Tenendo conto di tutti questi parametri (professionalità, progetti in rete, coordinamento, politica sociale innovativa, investimenti nel terzo settore), si potrà dare un senso alla vita dei minori "a rischio" e all'espressione stessa. ♦ BUONI E CATTIVI

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