chiarsi per riscaldarsi un po'. E se per un momento volgiamo lo sguardo anche a quei minori che non vivono la "frontiera", la strada come condizione, anche qui è nostra sensazione che ci sia il prevalere di sentimenti di tristezza, di noia o apatia per questo alcuni psichiatri parlano oggi di "adolescenze depressive" o "narcisistiche" al posto di quelle definite con una metafora psicanalitica "adolescenze edipiche". Ma non è forse vero che sono cambiati nelle famiglie i modelli di socializzazione primaria, non è forse vero che nella maggioranza delle famiglie c'è più attenzione alla tutela dei figli, si cerca in tutti i modi di abbassare la soglia del dolore sia esso una sofferenza del corpo o "dell'anima", non è forse vero che in queste famiglie c'è uno scontro generazionale oramai quasi inesistente, questa protezione questo crescere come "polli in allevamento" non è a nostro avviso, una esposizione a quelle sorprese, a veri e propri agguati da parte di quelle difficoltà proprie dell'età adolescenziale, il conflitto, la solitudine, il corpo, la separazione? Tutti, poi, i "figli di famiglia" e "gli scugnizzi" si vedono davanti questo dilatarsi del tempo necessario a collocarsi all'interno della piramide sociale. Quali sono i loro diritti, quali sono i loro doveri? Questo continuo spostare in avanti la fine del processo formativo caratteristico dell'adolescenza ha determinato nei ragazzi e in special modo in quelli che noi incontriamo nel nostro lavoro, la percezione che non ci sia più il tempo del futuro, o meglio che non ci sia un tempo in cui "io" divento "adulto" e realizzo il mio sogno, il mio progetto, metto fuori il mio talento, finalizzo gli sforzi e le fatiche del lavoro o dello studio. Si può avere alle spalle i misfatti più cupi, l'infanzia più brutta, le più grandi delusioni, però se a queste mancanze si aggiunge che non è possibile un progetto di cambiamento, non c'è scampo da questa miseria, da questa sofferenza, da questo mondo pubblicitario che non potremo mai nemmeno sfiorare, allora sono guai: è una perdita, un lutto difficile da elaborare e da affrontare, e le risposte possono essere in due direzioni, o di tipo depressivo che cancellano il tempo della speranza, o di tipo violento in cui il farsi strada passa attraverso le leggi delle mafie e delle camorre, delle trasgressioni, della sfida continua al tempo che viene vissuto solo nell'immediato, senza passato, né futuro. A questo aggiungiamo l'odierna situazione storica, in cui il lavoro è finito, "il muro" è crollato, il progresso non è più illimitato, la secolarizzazione avanza, e gli adulti non fanno altro che parlare di un futuro senza natura, senza lavoro, senza pensioni, senza più casa. Ognuno per la sua strada. In questo modo quindi questo abbandono totale dei minori, non è più solo l'espressione di disagio di una generazione, ma diventa in modo rnequivocabile l'espressione del fallimento di questa formazione economico-sociale, della sua capacità di analisi e di pratica solidale, della sua fuga di fronte a sfide educative complicate e complesse, dell'incapacità di andare oltre la merce, oltre il denaro. Da quanto detto risulta quindi urgente per i minori e per la società stessa di cui essi rappresentano la sopravvivenza, attuare strategie e interventi per poter mettere in atto la produzione di un metodo di superamento di questo modello sociale, causa di tale problematiche. Attivare un modello che sia in grado di aggregare tutte le risorse, gli strumenti e le opportunità affinché il minore non sia più in "caduta libera", ma al contrario sia accolto in una rete sociale capace di prendersene cura e di riaccompagnarlo verso percorsi compatibili con la dignità e l'espressione umana. In tale rete i servizi tipo le comunità giovanili possono avere non solo un ruolo fondamentale di agenzia pedagogico-formativo indispensabili per quei minori oramai senza più alcun riferimento, ma al contempo, queste comunità, risultano cruciali nodi della rete, capaci di assicurare quella forte e indispensabile integrazione tra il Territorio, la Società civile, le Istituzioni. Le comunità giovanili, pensate e organizzate non come luoghi per occultare l'orrido, bensì come laboratori e spazi: di promozione e trasformazione sociale, di stimolo a processi comunicativi di "contaminazione naturale" tra tutti i soggetti significativi, sperimentando modalità nuove di convivenza nel rispetto reciproco della dignità del proprio lavoro, della solidarietà, della giustizia sociale, senza voler creare "luoghi separati", o "comunità protette", nel rispetto delle libertà dei singoli, eliminando così il rischio di strumentalizzazioni psicologiche e/o ideologiche. La scuola, la famiglia, il mondo del lavoro e della cultura, le chiese, la pubblica amministrazione, le multietnie, i portatori di esclusione sociale, i soggetti politici tutti, devono e possono rimettersi in gioco al fianco di realtà come le comunità di accoglienza, che nel loro impegno concreto e quotidiano, al fianco del soggetto debole sono naturalmente, i suggeritori di politiche anticipatrici necessarie e indispensabili per una trasformazione sociale contro ogni forma di esclusione. Quindi le comunità giovanili non più intese come luoghi di contenimento e istituzionalizzazione, ma come spazi polifunzionali del territorio, agenti di cambiamento e di facilitazione delle sinergie, di stimolo delle competenze, delle opportunità, delle specificità presenti sul territorio. Ridare pertanto dignità e collaborazione al lavoro degli operatori sia scolastici che sociali e del volontariato, rimettere in gioco le oasi silenziose e separate come le biblioteche, gli spazi per l'animazione e lo sport, laboratori artigianali e d'arte, e le realtà associative sia laiche che cattoliche, di tipo storico e o territoriali, la cui interfaccia possa dare voce a quella parte di società civile che non vuole assistere più impotente alla decimazione e allo spreco di un patrimonio umano così importante come l'infanzia. Ripartire dalla città, per ripensarla e viverla come luogo della soggettività politica dei deboli; la solidarietà, né assistenza, né dono, realizzata come qualità della vita per tutti e in particolar modo per i bambini, la città come rinuncia alle velocità e ai consumi inutili, per un piacere condiviso fondato sul rispetto e sul sostenibile sviluppo. Per un futuro di legalità, di giustizia e di liberazione, collettiva e personale, da contrapporre al corso delle cose Noi abbiamo un sogno costruire una "Città sociale". ♦ BUON! E CATT!Vf
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