La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 16 - giugno 1996

ne che non lasciano segni, di polverine che tutt'al più fanno sospettare un raffreddore troppo prolungato, c'è stato un momento di panico. Se la droga può colpire anche qui, fra le famiglie per bene, cosa si può fare? Per for~ tuna, era pronta una nuova equazione: la droga si identifica con certi luoghi di aggregazione. Le discoteche, ma non solo. A Torino droga significa murazzi. Muri, per gli amici. Un figlio che gira ai muri è un figlio a rischio. Forse, un figlio già perduto. E, di nuovo, la speranza di evitare rischi si concentra lì, divieti, pedinamenti, accuse: guai se so che sei andato da quelle parti. Che ai "muri" ci sia anche altro, musica e amicizia e cultura e politica, i genitori spaventati non riescono a crederlo. Stai lontano di lì e sarai salvo. Non funziona, purtroppo. In molte scuole medie superiori stanno aumentando le segnalazioni di casi di etilismo, spesso in ragazzi giovanissimi. Non sono ragazzi poveri, non vengono da quartieri disastrati. Non hanno famiglie particolarmente malconce. Ai muri non li hanno mai visti. Non vanno neanche in discoteca. Si accontentano di ubriacarsi duro nei cessi della scuola, cocktails ripugnanti, vodka birra gin vino, qualsiasi cosa mescolata a qualsiasi cosa pur di introdurre alcool. Perché? Risparmiamoci per una volta le equazioni: disagio uguale perdita di valori; uguale genitori poco presenti; uguale società di consumi; uguale vita troppo facile, o troppo difficile; mancanza di interessi, di cultura, di affetto. Chi lavora con i ragazzi, con i giovani, può raccontare mille storie tutte diverse, storie in cui i presunti fattori di rischio sono dosati in modo diversissimo, nessuna sovrapponibile a nessun'altra. Dov'era l'elemento di rischio, in che momento ha cessato di essere un rischio solo potenziale, cosa è successo, chi ha sbagliato cosa? · Usiamo pure un frase facile, scontata e profondamente vera: crescere è un rischio. Anzi, una serie di rischi; una serie di momenti di difficoltà, di oscillazione, di ricerca in una realtà che non si conosce ancora abbastanza. Crescere significa cercare orientamenti, provare a tentoni, a intuito, a orecchio ... Ci vorrebbero punti di appoggio. Mappe. Reti di sicurezza. Invece, intorno a un ragazzo che vive un momento di difficoltà, che poi molto spesso è un momento di vuoto di qualche specie, non c'è quasi nulla. Sono pronte le strutture per chi è già dall'altra parte, per chi è tossico, o alcolizzato, o delinquente. Per un ragazzo che non è ancora nessuna di queste cose, c'è solo la speranza dei suoi genitori, speriamo che non diventi così. Ma è una speranza che sfuma nel sospetto, una speranza che ·non è aiuto: una speranza senza fiducia. Con sospetto, senza fiducia, gli adulti guardano i pochi tentativi di risposta al vuoto che nascono qua e là. Punti ancora rari di una rete che dovrebbe ampliarsi, crescere, e invece viene ostacolata, bloccata con tutti i mezzi. Gruppi musicali. Radio dai nomi preoccupanti. Centri sociali. Aggregazioni che sfuggono ostinatamente al controllo istituzionale, che rifiutano deliberatamente di inserirsi in progetti assessoriali, che si ostinano a esistere per proprio conto. Gli adulti, le famiglie, non si fidano, non era meglio l'oratorio, non è meglio il centro ascolto del comune, con gli educatori e le assistenti sociali e tutto il resto? Forse è difficile scrollarsi di dosso la diffidenza, riuscire a vedere in quei gruppi di ragazzi con le camicie di fuori e gli orecchini, nella loro musica, nelle loro radio, nelle loro manifestazioni, una risorsa contro il disagio. Ma, in fondo, si tratta solo di abbandonare l'illusione del controllo come strumento di salvezza. È un'illusione perdente: si comincia credendo di poter evitare i rischi eliminando quello che è pericoloso; poi, quello che sembra sia pericoloso; poi, quello che forse in seguito potrebbe rivelarsi pericoloso ... Un'impresa disperata, senza fine, che può produrre solo vuoto, e quindi ancora disagio, rischio, in un circuito perverso al fondo del quale resta solo la famiglia trappola di cui parlava Ceronetti, da cui sembra impossibile uscire. Per questo servono le reti: per offrire punti d'appoggio, per aggrapparsi, per venire fuori dalle trappole. Ma le reti devono restare flessibili, aperte. Altrimenti, diventano recinti: non è la stessa cosa ... ♦ DA NAPOLI: ALLE SOGLIE DEL 2000 Antonio D'Amore Antonio D'Amore è direttore della Comunità di Accoglienza"Il Pioppo"a Somma Vesuviana. ♦ Scrivere sui minori, per loro, per capire, scoprire, conoscere la realtà di un mondo che negli ultimi tempi vive un malessere che assume sempre più una evidenza tale che talvolta rischia di diventare spettacolare, è oggi più che difficile se si parte dal presupposto di voler cercare in un rapporto sinergico con le altre realtà sociali, un approccio alle dinamiche del1'esclusione di questi giovani dalla partecipazione alla cittadinanza dei diritti. In questa mia riflessione, volevo porre alcuni quesiti ai genitori, agli insegnanti, agli operatori del sociale, ai cittadini singoli ed associati, circa il modo di poter accettare la sfida che la situazione minorile o in modo più completo quella giovanile, non è quella che le ricerche di psicologi, sociologi, pedagogisti, ci danno, o tantomemo che la rappresentazione dei fenomeni e degli usi e dei costumi giovanili sia quella che con "malizia" ci viene propinata dai mass-media. Le cose ci appaiano, dal nostro osservatorio di frontiera, meno cupe. . Da più di quindici anni sono impegnato in una associazione che lavora con minori e giovani che vivono direttamente sulla loro pelle un problema di devianza o di droga, sono giovani che conoscono i torti e le ingiustizie e la fatica di un mondo oramai diventato tutto azienda e mercato. In questi anni ho incontrato e seguito circa BUONI E CATTIVI

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