BUONI E CATTIVI /MINORI Silvana Quadrino, Antonio D'Amore Valerio Belotti, Rosa Ferro, Giancarlo Mola Andrea Beretta, Nicoletta Benatelli Saverio Gazzelloni I RISCHI E LE RETI Silvana Quadrino Attraverso i vetri dei nidi, alla maternità, i neonati sembrano davvero tutti uguali. Bisogna mettergli un numero per evitare di scambiarli. Fanno le stesse smorfie. Fanno gli stessi gesti. Ma non sono uguali. Non cresceranno allo stesso modo. Qualcuno la diversità, il rischio, se lo porta già dentro, un errore misterioso nello scambio di messaggi fra cellula e cellula, qualcosa che ha turbato il progetto di costruzione, chissà. Lo vorranno lo stesso? Riusciranno a portarselo a casa i suoi genitori, a occuparsi di lui nonostante quell'errore, a volergli bene? Come si fa a saperlo, come si fa a dirlo. Nascere con difetti di fabbrica è un rischio, un rischio grosso. Meglio essere bimbi sani e belli, lo dice la tivvù, c'è perfino una rivista intitolata così, alla faccia dei genicorì di bambini né sani né belli per i quali nessuno pubblica riviste. I bimbi sani e belli sorridono, mangiano omogeneizzaci, crescono e non corrono rischi. Ma è proprio vero? Jessica era bella. Era sana. I suoi genitori avevano per lei un prosecco grandioso: farla crescere eccezionale, umca. Perfetta. Nessuno ha pensato che Jessica potesse essere una bambina a rischio. Aveva due genitori (le famiglie monoparentali, quelle sì, sono famiglie a rischio). Una situazione economica più che agiata. Non era neanche figlia unica (altro riL schio temibile, crescere senza fratelli e sorelle...). Era una bambina amata. Amata al punto da volerle evitare ogni possibile contaminazione, ci dicono adesso i giornali: adesso, che Jessica è caduta insieme a un aereo che guidava, a BUONI E CA mv, otto anni, come si conviene a una bambina eccezionale, unica, perfetta. Per Jessica niente fumetti, niente Disneyland, niente tivvù, niente cibi porcheria - quelli che ai bambini piacciono tanto. Un paradosso educativo portato ai limiti estremi, affinché tu impari a essere libera ti impediremo qualsiasi cosa... È la famiglia il pericolo maggiore, il vero fattore di rischio per i ragazzi, scriveva con accenti terribili Ugo Ceronetti sulla "Stampa" proprio in quei giorni. Una trappola, un nido di vipere, sabbie mobili di miele che risucchiano, che bloccano, che divorano ... Aiuto! Ma come si fa a eliminare i genitori subito dopo la procreazione? Meglio sostituirli con ist1tuti, collegi, orfanotrofi? Meglio rinunciare al ruolo di genitori, far finta di non esserci, lasciare i bambini alla loro spontaneità senza interferire mai? Ciò che rende impossibile una risposta sensata è proprio quel "meglio": esistono davvero, situazioni "meglio"? Come sono le situazioni a basso rischio nella crescita del ragazzo? Certo può essere consolante convincersi che i fattori di rischio, nella crescita di un figlio sono noti, identificabili. Possibilmente ben lontani dalla nostra realtà. Meglio nascere ricchi che poveri. Meglio avere una famiglia unita - o almeno che faccia finta di esserlo - che un genitore di qua e uno di là. Meglio avere diciotto stanze e un unico figlio che un'unica stanza e diciotto figli, come diceva Gaber tanti anni fa. Ma meglio per cosa? Quali sono i rischi che immaginiamo di evitare? Per troppo tempo parlare di rischio ha significato parlare di droga. Le famiglie se ne sono convinte, tutta l'attenzione si è concentrata lì. Spesso senza capire di cosa si stava parlando: per troppi genitori, per troppi inse- . gnanci, anche per cerci operatori sociali droga significava quartieri di periferia e disagio sociale, emarginazione e povertà, famiglie disastrate e disperazione. L'equazione era talmente solida - e rassicurante - che si riusciva a non vedere, nell'elenco quotidiano di giovani tossici morti, o arrestati, o salvati per un pelo, cognomi noti ed eccellenti che certo non indicavano provenienze sottoproletarie. Poi, droga significava buco. Siringhe insanguinate e passi vacillanti, lividi sulle braccia, pallore. Segni, sesnali ben chiari. Ragazzi euforici, pieni di vita, felici come può esserlo chi non ha che da chiedere, auto vestiti soldi per la discoteca, cpsa c'entrano con l'immagine del drogato? Quando si è cominciato a parlare di pilloli-
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