zione che accomuna l'esperienza di Taranto ad altre realtà non solo del Meridione, ma anche localizzabili nel ricco Nord. Dagli anni Sessanta in poi lo sviluppo ionico è stato incentrato sulla creazione di un vasto polo siderurgico, uno dei più grandi d'Europa, capace di arrivare perfino a quattro altoforni. La siderurgia ha costituito per anni la crescita e lo sfogo occupazionale di Taranto: ha mantenuto la disoccupazione a livelli molto bassi, e ha contribuito ad aumentare il numero degli abitanti del 20%. Una crescita troppo rapida per reggere alla crisi dell'industria che si è manifestata a partire dalla metà degli anni Ottanta in tutta la sua drammaticità. La Cee impone insostenibili quote di produzione e una drastica riduzione. Il settore siderur~ico così non regge e da una parte comincia a produrre disoccupazione a getto continuo, dall'altra provoca la chiusura di molte di quelle piccole e medie imprese che vi ruotano attorno. Nel 1994 si arrtiva all'impressionante numero di cinquantamila disoccupati. Il crollo dell'industria ha svolto un effetto dirompente sulla città. I quartieri operai sono diventati sottoproletari, il lavoro nero si è potuto sviluppare grazie alla disoccupazione, la criminalità organizzata ha stabilito una fitta rete d'azione facendo leva proprio su quei quartieri periferici in cui l'assenza dello Stato ha raggiunto livelli da amministrazione borbonica. Di contro all'incessante crisi economica vi è stata una sempre più evidente degenerazione di un ceto politico statico, incapace di riprodursi e di trovare un efficace cambiamento. Negli ultimi dieci anni la politica a Taranto ha offerto la formazione e lo sgretolamento di coalizioni insuffi'cienti, l'immobilismo di un consiglio comunale incapace di risolvere i problemi reali e intento a garantire i privilegi di parte, se non addirit- · tura i profitti personali. Le giunte Dc-Psi, spesso col beneplacito del Pci, anziché studiare un progetto di riconversione industriale del territorio, sono rimaste ferme nell'unico scopo di mantenere in piedi fragili consigli comunali. Lo scollamento fra politica e società, politica e cittadini è stato netto. Le caste del potere sono rimaste immobili, mentre l'economia vorticosamente si involve su se stessa. Il collasso è stato inevitabile. Per questo l'unica via d'uscita sarebbe potuta venire da un cambiamento radicale d1 rotta. Ed è stato quello che la sinistra tarantina non è riuscita a offrire, impigrita nelle sue posizioni, apatica nei confronti delle trasformazioni della politica nazionale, spesso adagiata sul consenso addomesticato della classe operaia prodotta dall'Ilva. E lo sfogo ha preso altre forme e altre vie. Dopo essersi raccolto e sedimentato nelle pieghe della città, è emerso in tutta la sua rabbia nella persona di Giancarlo Cito, che è stato abile a coagulare consenso attorno a sé, forte dell'utilizzo del mezzo televisivo. È con questo che Cito, a poco a poco, ha contrapposto a quello precedente il suo modo di intendere e fare politica: alla compiaciuta lentezza del discorso politico l'impeto della violenza verbale, alla staticità il rozzo dinamismo degli accenti populistici. È in questo modo che Cito ha garantito la sua ascesa, difendendola a denti stretti con la derisione e la calunnia sistematica dell'avversario e con le de- .r),-·· ;' I .., I •·;•,' ~. magogiche proposte di risoluzione dei problemi che però, purtroppo, a molti sono apparse più concrete delle non-proposte della precedente classe dirigente. Ed è lo stesso modo di fare politica che ha adottato dal momento in cui è stato eletto Sindaco, dalla giunta comunale monocolore a partito unico (grazie anche al nuovo sistema elettorale) all'emar~inazione delle opposizioni, dal rude pragmatismo populista allo sbandierato giustizialismo, dall'aumento del consenso tramite opere efficacementepropagandistiche (apertura della villa comunale, rifacimento del Lungomare) ai toni persecutori nei confronti dei "tossici, extracomunitari, omosessuali". Tutto ciò non può essere spiegato se non come conseguenza di questo: una città stanca e tediata, che non ha saputo liberare le proprie forze migliori, allontanata dalla politica e dalla partecipazione democratica, ha affidato le proprie sorti, con l'assenso dei poteri forti cittadini, a una specie di capitano di ventura rigurgitato dalla sua stessa crisi, e non generato da una reale voglia di cambiamento. ♦ LA CITTA
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==