La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 16 - giugno 1996

salvaguardia della tradizione, non è insidioso, ma a lungo andare diventerà insidiosissimo per come rischia di riconsegnarci una società ingessata, che non solo non ha saputo approfittare dei momenti più espansivi.e favorevoli che ha avuto, ma che oggi sembra votarsi inesorabilmente alla paralisi. Mi sembra che si stia facendo di un valore come l'identità, una prigione, rendendo così la città diffidente anche verso se stessa. Firenze rischia di chiudersi del tutto, come le sue architetture, che non sono fatte per mostrarsi. In nessun'altra città d'Italia c'è così poca ostentazione della facciata, così poca considerazione dell'involucro. Dietro la facciata però, dentro le architetture, Firenze è piena di giardini meravigliosi. Insospettabili. Che sia nel suo corpo il suo tesoro? Un amico mi ha giurato che, sotto la buccia di indifferenza, cinismo, diffidenza, snobismo che la ricopre, Firenze ha in sé una ricchezza inimmaginabile di sottoculture, fermenti, creatività, promettenti manifestazioni di affetto nei confronti dello spazio vissuto, che la riempiono come giardini. Una città segreta dunque, non piagnona, con le sue notti, la sua mondanità ... Sono uscito dal!' Annunziata che è quasi buio. Ho bisogno d'aria. Tutto quel chiuso, quell'odore di minestre e ciprie mi ha reso nervoso. Decido di arrivare su Piazzale Michelangelo per cercarmi una distanza. Uno sguardo più puro, che mi faccia guardare Firenze da dove tutti i piccoli interessi, le piccole chiusure, i refettori e i salottini letterari si perdono, scompaiono sotto la distesa dei tetti, come le strade. Guardo le finestre accendersi nelle case. Le facciate che si illurninano: Santa Croce, Palazzo Vecchio, il Duo~10 e il Cupolone, i Lungarni. Lo scenario inconfondibile della notte fiorentina. Da qui tutto è così perfetto da sembrare irreale. E forse lo è. Che Firenze non è mai stata così, non è mai esistita in questa forma e in questa dimensione e soprattutto in questi tagli di luce così finti e scenografici. Con ogni probabilità, cinquecento anni fa, una città chiamata Firenze è realmente esistita laggiù. Ma ora, ciò che si vede da qui, non è che una fra le tante città della notte, in cui un Occidente rantolante specchia la propria inevitabile fine e, come ha scritto Tondelli 111 Un week-end postmoderno, accende "candele e monumenti e al passato come si fa con le care immagini dei morti". ♦ Lil..QII}. TARANTO: UNA CITTA' E IL SUO SINDACO AlessandroLeogrande Alessandro leogrande studia in un liceo di Taranto. ♦ Piazza della Vittoria è la principale piazza di Taranto. È la piazza del centro, quella del passeggio e del ritrovo. È la piazza dei comizi cittad111i.La sinistra ne ha sempre fatti e ne fa tuttor~,. di rado, ma molto più limitati, meno oceanici. I comizi che riempiono la piazza completamente, in ogni ordine, sono altri, sono quelli di Giancarlo Cito. In genere sono di sabato, per raccogliere il passeggio che si riversa in centro dalla periferia, dai quartieri popolari e dai borghesi. E così nella piazza gremita, fra bandiere di At6, il movimento di Cito, e stendardi tricolori, becero spirito patriottico, incomincia lo show. Un climax da orazione attica. Cito incomincia lentamente, trattenendo l'arroganza in una finta pacatezza. Poi, quando avverte il coinvolgimento della piazza, incalza, alza il tono, incomincia con gli attacchi personali nei confronti degli avversari, sfodera tutti i possibili luoghi comuni, dall'anticomunismo al meridionalismo, dal bisogno di ordine agli attacchi alla magistratura, scende nel turpiloquio e nell'ingiuria. Sente il calore di una massa esacerbata e irrequieta e ne fa l'uso che vuole, trasformando il comizio più che in una esposizione delle proprie idee, in una sorta di venerazione della sua persona come unico rimedio a tutti i mali. L'incontro con "la gente" rappresenta l'acme, la massima espressione del fenomeno "citiano", dai tratti forse più folcloristici che strettamente politici, ma è un buon punto di partenza per capire molte cose: perché Cito spopola a Taranto, raccoglie la rabbia di disoccupati e piccolo-borghesi, il disperato consenso di un sottoproletariato marginalizzato, le disillusioni di parte di quel che resta della classe operaia, ma anche il consenso e il pieno sostegno di una parte consistente della buona borghesia, degli imprenditori, dei professionisti, delle caste del potere cittadino. E per fare questo non occorre rifarsi a una crociana "malattia della Storia" che spieghi l'impazzimento collettivo di un'intera città. Per spiegare la creazione del "monstrum" basta vedere che cosa è successo a Taranto negli ultimi anni, quali sono le condizioni economiche e politiche che hanno permesso i consensi a Cito. L'affermazione di un caso, forse unico nei suoi caratteri estremi, ma per molti versi sintomo di un degrado e di una depoliticizza-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==