La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 16 - giugno 1996

Michelozzo). Ma quando, in tutta la sua autoctona intermedietà, Guerrieri comincia a parlare - ci informa sui posti della tribuna ali' epoca e sui nomi dei donatori - io penso che non ci si dovrebbe aspettare mai troppo dagli altri. Specialmente dai professori universitari che presentano libri in serate come questa. E mi ricordo una frase di Giuseppe Berto (ne Il male oscuro) che più o meno dice che il segreto per star bene è "guardare il mondo e gli uomini con purezza e allora non ci si ammalerebbe mai" ... Pensare che per essere qui, ho dovuto fare il giro di Firenze col motorino, ora che è tutta un cratere in vista del vertice europeo di giugno. C'è tutto un fervore di attività e uno starnazzare di martelli pneumatici in centro, e la città è percorribile dai soli viali: i boulevard del piano ottocentesco. Quell'anello, cioè, che per molti rappresenta ancora il limite dell'urbe. Oltre c'è la periferia, in tutta la sua insulsa ridondanza di punti, luoghi, funzioni e in mezzo vuoti, assenze; in tutta la sua attuale complicazione demografica, etnica, culturale. Brutta perché senza idee, ma in fondo non tragica come altrove: c'è di peggio, che ormai la periferia non spaventa più nessuno. Dopo averla vista nei film di Beinex, di Ciprì e Maresco e nei video rock. A relazione conclusa, prima di realizzare del tutto la mia capitolazione, indugio qualche minuto vicino all'uscita - del rinfresco neanche l'ombra - nel tentativo di capire a che tribù urbana o etica in questo momento aderisco, cioè a che pubblico per lo meno. Lo faccio sempre, probabilmente per un istintivo bisogno post-materialista di riconoscermi in un'appartenenza. Anche qui, in una città relativamente piccola, devi essere sempre qualcosa per vivere, studente, lavoratore, utente, giovane_,adulto, verde, rosso ... soprattutto se non ci sei nato. Perché Firenze resta per i residenti la città di Pratolini. La città dei particolarismi, delle microidentità di quartiere, dei rapporti di vicinato, degli autoriconoscimenti comunitari forti e territorialmente delimitati. A un fiorentino basta dire sono dell'Isolotto, di San Frediano, del Galluzzo, di Rifredi, ecc., per sentirsi soddisfatto nel suo desiderio di radicamento, identità, e per autodifferenziarsi. Ma per i non residenti, per gli studenti fuori sede, l'identità è solo autoreferenziale, cioè è spostata al proprio luogo di origine o alla propria tribù sociale-culturale-affettiva di riferimento in città. Firenze non ti assorbe, non ti adotta. Non ti cambia. Al più ti ospita. Non appena viene fuori che non sei di qui, subito ti guardano in tralice e qualcuno, dopo averti chiesto di dove sei, immancabilmente, quando gli hai risposto, ti domanda perché sei venuto via?' E io penso: com'è che chi è di qui si chiede sempre perché siamo venuti via e mai come ci arriviamo, come ci inseriamo? Io sono stufo di essere via. L'esito del breve sondaggio è prevedibile: tutti, eccetto me, sono ...vecchi. Ora, a parte la circostanza specifica della presentazione di questo libro - sicuramente indirizzato a un pubblico non proprio di teen-agers - a Firenze gli incontri culturali, dai più importanti ai più modesti, sono sempre contrassegnati dalla presenza massiccia di tribù giurassiche che spesso ne sono pure le promotrici. C'è da chiedersi, allora, se oltre a una reale superiorità numerica degli aver 60 sul resto della popolazione e a una loro reale superiorità di interesse per certo modo di intendere e di vivere la città, non ci sia un ancora più realistico impoverimento dell'offerta da parte di quella cultu!ia della provincia di cui Firenze, negli anni Ottanta, era stata un po' considerata la città simbolo. La Firenze di P. V. Tondelli "nuova capitale giovanile italiana, con i suoi gruppi teatrali, la sua video arte, le sue band rock, le sue fanzine, i suoi giovani stilisti del trend", a soli dieci anni da quando queste parole venivano scritte nella presentazione della prima edizione di Under 25, non è che un ricordo. Firenze non è più una "capitale", tanto meno "giovanile". Altri sono i grandi centri in cui si produce cultura: altro che tramonto della cultura metropolitana! Firenze, nonostante le sue enormi potenzialità, non ha più le risorse per mantenere quanto in essa si sia costruito; non ha le risorse per creare futuro. La cultura ha costi che la città è incapace di affrontare. Dov'è finita la vita culturale "stimolante" e "aggressiva" che questa provincia avrebbe saputo inventarsi in alternativa alla cultura della metropoli? Semmai c'è stata, ora sta solo deteriorandosi, si rimpicciolisce. Firenze soffre di un'emarginazione comune ad altre città italiane che non riescono a opporsi all'assedio tambureggiante delle idee che si confezionano altrove. La sua identità è ormai confusa. Ostaggio dei turisti e dei loro pullman, non è più in grado di capire cosa vuole da sé: se essere il salotto buono del mondo, se la città delle bancarelle per il turismo di massa, se la città della conservazione dei monumenti o della nuova architettura. L'attuale amministrazione Primicerio, ha avviato una politica culturale che privilegia, in termini di risorse finanziarie, le cosiddette grandi istituzioni (teatri più grossi, archivi, biblioteche). Una politica che perciò conferma Firenze come città della conservazione, dell'arroccamento controriformistico sulle proprie qualità storiche tradizionali. Le iniziative, le proposte, le attività non allineate, o semplicemente esterne alle grandi istituzioni, e che pertanto implicherebbero un apporto di trasformazione indesiderato dello status quo culturale come lo si sta instaurando, sono completamente lasciate a se stesse. Non godranno di nessun appoggio da parte del comune. La giustificazione è: razionalizzazione degli obiettivi e della priorità nell'uso delle risorse. Così, la Firenze squallido-sublime degli spettacoli pinteriani di Carlo Cecchi al teatro Niccolini va a farsi benedire. La Firenze "femminile" del Giardino dei Ciliegi, nonostante appelli pubblici anche di personaggi come Dacia Maraini, è lì che vive ogni appuntamento come se fosse l'ultimo. La Firenze sociale, controculturale, dell'Ex-Emerson non c'è quasi più; rimane il Cpa l'unico centro sociale che funzioni e che si possa considerare veramente portatore di novità. La Firenze dell'università e della ricerca, per il Comune, non esiste, se non nelle persone singole dei professori, sparse nelle varie istituzioni culturali della città, e nel ri-sentimento di una rottura di scatole che deriva da una continua richiesta di spazi da parte di studenti. E la Firenze capitale radicale dell'architettura italiana? Tutta roba anni Sessanta (Archizoom, Superstudio, Ufo, Zzigguratt, 9999), chimere e stravaganze che non potevano che migrare a Milano. Questo atteggiamento iperprotettivo e di LACITTÀ

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