La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 16 - giugno 1996

LA CITTA' DA FIRENZE A TARANTO Carmelo Argentieri Alessandro Leogrande FIRENZE CITTA' CHIUSA Carmelo Argentieri In un mercoledì qualunque di una settimana qualsiasi di marzo. Prendo posto nel refettorio del Convento cieli'Annunziata e mi metto in attesa che il relatore conquisti il piccolo pulpito di una scrivania con bottiglia d'acqua e bicchiere, che qualcuno gli ha allestito in fondo alla sala. Un refettorio è luo$o insolito, improprio, per la presentazione d1 un libro. Distrae. Chiunque vi entri - sono contento di non essere stato il solo - non fa che succhiare col naso, sporgendo la testa dal collo, il sapore denso dell'aria che riempie di minuscoli refoli di minestre l'ambiente. Ma non è di odori che intendo scrivere, per quanto, confesso, a trattenermi lì, in quel refettorio, ad ascoltare tutta la presentazione di Michelozzo Bartolomeo e l'Annunziata di Firenze, a seguire tutti gli intervalli indicati dal relatore, tutti i sentieri tortuosi del suo eloquio lento e limaccioso, è solo, dopo un po', la segreta covata e in ogni modo vezzeggiata speranza che quegli odori, oltre che confermare l'uso mangereccio dell'aula, alludano a un catartico, salvifico buffet finale. Sono qui perché è di Firenze che vorrei scrivere, e sono convinto - ma potrei sbagliarmi - che in luoghi come questo refettorio, lontano dai clamori dei Pitti Uomo, questa città respiri: cioè più schiettamente si compiaccia di sé; si nutra di sé, delle sue ricorrenze, delle sue commemorazioni e dei suoi centenari, dei suoi artisti e delle sue bellezze monumentali. Autofagia narcisistica della città in cui tutto è invariabilmente già accaduto. Certi eventi culturali minori, con l'atmosfera da club privato che' li abita - le seggiole e le pellicce, $li inchini e gli ammiccamenti - sono le occasioni in cui Firenze si ritrova con se stessa, si mette comoda, e come una vecchia e opulenta signora, si racconta. Non si deve che ascoltarla. In queste riunioni, spesso ci sono dei docenti universitari. Sempre entusiasti di ciò che vengono a presentare, sempre pieni di buone parole da prodigare alle opere dei figli della loro città. Non si sa se lo facciano per soldi, per obblighi sociali o proprio sul serio. Forse lo fanno solo per avere, una volta tanto, il piacere di apparire a un uditorio che verso di loro esprime sentimenti di assoluta dipendenza. Questa sera, a presentare il libro c'è Francesco Guerrieri, ordinario di restauro dei monumenti alla facoltà di architettura di cui è anche preside. Guerrieri lo giudicheresti il tipico antieroe della tradizione civile fiorentina: mesto, compassato, orazianamente rivestito di quell'aurea mediocrita~ che tanto piace ai fiorentini, eterni censori dell'eccesso. Solido, grave, corpulento, impersona perennemente un'espressione masaccesca da Cappella Brancacci. All'austerità di quell'espressione, nei secoli, si sono uniformate le strade e le piazze di questa città, ridotte a un fondale continuo, che attenua i contrasti e rifugge dagli sprechi, di facciate monotone su cui si ripetono, a intervalli regolari, bugnati, lesene e frontoni in pietra serena, intonaci giallo-Poggi rimasti dal piano ottocentesco: simboli ricorrenti di un'attitudine alla parsimonia, nell'investimento del denaro, che se nel 1400 Alberti chiamava masserizia, oggi, in una forma meno arcaica e agreste, chiameremo tirchieria mercantile. L'impressione è quella di un mondo controllato e sommesso ridotto ad archetipi del vivere civile e della manualistica architettonica, in cui il corso quotidiano della vita sembra soffocare l'esplosione degli eventi, le risate della contrada e i pianti della periferia, l'estro e la sconsideratezza della chiacchiera. Ma ascoltando con attenzione dei fiorentini ragionare come quelli che questa sera mi stanno intorno, puoi riconoscere nei discorsi un ottimismo e un senso dell'impegno contingente nella vita della città che non escludono la capacità di scherzare: purché questa venga fuon da una comunanza di giudizi con la società da cui nasce ... Già che ci sono, mi aspetterei di conoscere, questa sera, i nuovi sviluppi cieli'ormai secolare querelle sull'attribuzione della tribuna della chiesa dell'Annunziata (Alberti o Michelozzo), alla luce, magari, di una riconsiderazione dei documenti di archivio che Padre Eugenio Casalini, autore del libro, dice di aver utilizzato a piene mani. Mi aspetterei di sentire, una volta di più e con argomenti più penetranti, se chi l'ha ideata e chi l'ha costruita sono la stessa persona (Michelozzo), ovvero due (Alberti e

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