La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 16 - giugno 1996

ARTE E PARTE GIOVANI SCRITTORI E VECCHI CRITICI FrancescoFeola Dopo aver resistito all'invito di recensire due giovani libri (i nomi dei loro giovani autori non li farò nemmeno sotto tortura, e tantomeno i titoli; accontentatevi di sapere che uno ha dei magnifici pesci colorati in rilievo in copertina, l'altro contiene una cartolina-invito per una discoteca emiliana); dopo aver letto l'ennesima recensione del vecchio critico che incensava la giovane scrittrice di turno; dopo aver giurato di fronte al poster di Miche! Platini che non mi sarei più lasciato vincere da quel cocktail di invidia-ammirazione-curiosità che mi spinge a cercare nei libri dei miei coetanei (o è meglio chiamarli "compagni di generazione"?) il motivo del loro successo; ebbene, dopo tutti questi buoni propositi, eccomi qui a parlare del libro di esordio di un ventottenne. Ma questa volta ne valeva la pena. Il mio giovane amico m1 ha detto leggilo, ne parlano bene molti amici, si chiama Woobinda, l'ha scritto Nove, non te lo puoi dimenticare. Grazie a una efficiente segretaria della giovane casa editrice Castelvecchi, il libro mi è stato portato a casa, anzi nella cassetta della posta; ha risentito un po' del tentativo del fattorino di farlo passare attraverso una fessura di almeno due volte più piccola, in barba a tutte le leggi della fisica, ed è arrivato sulla mia scrivania, tra Foscolo e Leopardi, due giovani autori del secolo scorso. Che ti hanno fatto questi giovani scrittori? vorrete sapere. Sapeste, vorrei risr,ondervi, per poi chiudermi in uno sdegnato silenzio. E invece, dal momento che mi pagano a riga, ve lo spiego per benino. Prima d1 tutto questa storia dei siovani scrittori mi sembra un po' quella degli sfigati bambini napoletani del maestro(?) D'Orta: loro a scrivere penose esperienze di vita, lui a ricamarci sopra battute degne di Lino Banfi e a intascare un mucchio di soldi. Allo stesso modo questi giovani poveracci: basta uno s~unto buono (a volte neanche quello, vedi il libro della Mondadori con i pesci in copertina), un linguaggio un po' ardito (consigli per chi si vuole buttare nel genere: semini qua e là qualche cazzo, figa, se poi riesce a piazzare la descrizione un po' splatter di come ha ucciso sua madre, ci scappa pure il film), una buona immagine (il rivoluzionario Nicola X, l'acida Isabella Santacroce, lo sfigato Culicchia, la casta Olga); poi arriva un editor (a volte nemmeno quello, vedi il libro coi pesci Mondadori) e il gioco è fatto. Ci saranno sicuramente (posso augurare loro di rompersi una gamba entrando in libreria?) qualche migliaio di baldi giovani contenti di trovare delle storie che gli somiglino, "fatte apposta per loro". Cercando di farsi spazio tra Jacopo Ortis e i Canti leopardiani, la copertina arancione di Woobinda mi ricorda che tutto era iniziato parlando di lei, di questa raccolta di racconti attraverso i quali Aldo Nove ci restituisce scampoli di un presente dominato dal grottesco. Con un linguaggio secco e distaccato, ma aperto agli usi più deplorevoli (su tutti l' «attimino», ma vale la pena ricordare anche la magistrale parodia della lettera commerciale), personaggi così strani nella loro normalità raccontano stone assurde, ancora più assurde in quanto solo un passo oltre la realtà, come quel ragazzo che dice «Quando sono andato alla strage di via Palestro con la mia ragazza, Capricorno, era vestita in modo da puttana». Sono racconti glaciali, attratti magneticamente dalla televisione. Nove è distante, la sua ironia è tagliente. Woobinda non è riuscito (per ragioni cronologiche) a entrare nel pamphlet (così lo definisce il suo autore) che Renzo Paris ha dedicato ai "Romanzi di culto" (sottotitolo: "sulla nuova tribù dei narratori e sui loro biechi recensori", Castelvecchi editore, ancora lui). Paris attacca i vari Guglielmi, Arbasino, Cotroneo (la lista è lunga), incapaci di formulare dei giudizi critici che non siano basati sul nulla (per la verità non gli piacciono nemmeno quelli basati sullo stutturalismo, o sulla critica sociologica); attacca tutti, Paris, perché nessuno ha capito un cavolo di questi giovani scrittori, nessuno ha saputo reggere alla carica anticonformistica che la nuova narrativa sprigiona. Fino a qui tutto bene, ma poi il nostro pamphlettista che fa? casca sul più bello (non si offende vero?). Quando si rende conto che deve offrire la sua chiave di lettura (visto che quelle solite le ha buttate tutte) ricorre al sempre giovane (a scuola si sarebbe detto "attuale") Dante ed alla definizione di Stil Novo, solo che mentre lì (si intenda, nel Purgatorio, ventiquattresimo canto) solo Amore era "dittatore", per Paris "il romanzo è tutto ciò che ditta dentro". E c'era bisogno di sparare a zero su tutto e su tutti? Insomma, secondo Paris, i critici non hanno capito un cavolo di niente (molto probabile), un nuovo pubblico è nato (questo si spera, ma lo sapremo solo tra qualche anno), la g10vane narrativa ci ha dato grandi libri nei quali dominano le "emozioni", primo fra tutti il bistrattato Va' dove ti porta il cuore (mi consenta, Paris, ma a me, umile giovane lettore, quel libro sembra proprio una perfetta boiata, "perfetta" perché da manuale di narratologia: colpi di scena al punto giusto, ammiccamenti al lettore quanto basta, ma pur sempre "boiata"). Né, sempre a mio modestissimo avviso, il favore del pubblico è un oggettivo metro di giudizio: non sarò io a ricordare che Alberto Castagna ha più di 8 milioni di spettatori, o che due pessimi scrittori come Aleardo Aleardi e Giovanni Prati, a metà Ottocento, vendettero più di Leopardi e Manzoni messi insieme, ma, grazie a dio e agli uomini, di tanto nome non è rimasto nulla. ♦ SUOLEDI VENTO

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