La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 16 - giugno 1996

so se questa fu un'impressione sbagliata dettata dalla nostra ingenuità e disponobilità alla compassione e alla commozione oppure dovuta al bisogno di qualcuno che avesse le sembianze di un padre e la forza di un comandante, almeno fino ad allora, che però condividesse e appoggiasse la nostra causa persa, le ribellioni dello spirito, la nostra indignazione. Non ricordo altri detenuti rinchiusi in cella d'isolamento così a lungo, più di quaranta giorni, la giustificazione ufficiale parlava di precauzioni logistiche a causa del divieto d'incontro tra finanzieri. L'isolamento significava un'ora d'aria al giorno a volte trascorsa lungo il corridoio davanti la propria cella, giusto per sgranchire le gambe, la luce al neon accesa notte e giorno e un militare ininterrottamente di guardia, una realtà del tutto estranea al carcere, dove, in linea di massima si respirava un'aria tranquilla e rilassata e si godeva all'interno della struttura, di una certa "libertà" di movimento e socializzazione con gli altri detenuti nei luoghi d'incontro come il cortile, la mensa, lo spaccio, il sabato il cinema e la domenica la messa; nelle camerate dei detenuti la sera si organizzavano tavolate dove ciascuno metteva a disposizione pietanze cucinate nella stessa cella, grazie a fornelli rigorosamente vietati, o portate da mogli e fidanzate durante le ore di visita. Rispetto a tutto questo l'isolamento costituiva una costrizione lontana dalle consuetudini del carcere, acquisendo forme di crudeltà gratuita nei confronti di un uomo né processato né condannato, ma solo indagato e m carcere in custodia cautelare, cosa ben diversa dalla detenzione in cella d'isolamento. Nonostante le accuse nei suoi confronti fossero gravi, nonostante tutti ci rendessimo conto di che cosa stava accadendo nel paese, del ruolo colpevole della Guardia di Finanza, della gravità, soprattutto nelle conseguenze per il futuro, di tangentopoli e di tutto quello che questa parola racchiude in sé, il Maresciallo della finanza diventò in qualche modo u~a vittima. Nei suoi confronti no,n si ragionava più politicamente o giudiziariamente ma solo umanamente. La sera, quando i reparti .erano chiusi e gli uffici amministrativi deserti, davanti alla sua cella, lui con le braccia penzolanti attraverso le sbarre e il viso premutovi contro, quasi cercasse di farsi spirito per trapassarle, si incontravano spesso militari venuti a trovarlo e a portargli spontaneamente libri e riviste, a volte erano loro stessi a leggergliene dei passi. Aveva a carico, concussione e corruzione riguardo a tangenti prese dal '90 al '94, (lo scanaalo di tangentopoli risale al 92). La sua condizione fisica e psichica si aggravava giorno dopo giorno finché non arrivarono ad interrogarlo i magistrati Antonio Di Pietro e Gherardo Colombo, col seguito di televisioni e giornalisti, e di una folla osannante i magistrati e accanita contro i finanzieri, dalla strada si sentivano le urla ingiuriose e cagnesche di questi spettatori che a viva voce erano venuti fin lì a chiedere giustizia ai "giustizieri". Dopo gli interrogatori, ma soprattutto dopo almeno quaranta giorni di cella d'isolamento, venne scarcerato e ma_n~ato _agli arres~i. domiciliari: Passarono pochi g10rn1 da quegli mterrogaton che giunsero in carcere alte cariche della Guardia di Finanza. "Le guardie sono militari, sono nella naja e basta, sono soldati che si ritrovano a fare i carcerieri, e hanno moti psicologici delicati spesso. C'è un rapporto cordiale, perché si rendono conto anche loro di essere in carcere, ma dalla parte di chi tiene le chiavi, e a volte la differenza per loro è importante. A volte fanno proprio i bastardi" .1 • Ho conosciuto nella mia esperienza disertori ma non obbiettori totali. I disertori erano per lo più alcolizzati, tossicodipendenti, spacciatori, piccoli malavitosi, disadattati e emarginati. I tossicodipendenti spesso attraversavano la crisi d'astinenza in cella d'isolamento con un materasso poggiato per terra, una bottiglia d'acqua e 4-5 Roipnol al giorno per tollerare meglio i crampi allo stomaco e i tremori alle gar1be. Dopo cinque gior,ni di sofferenze e abbandono cominciavano a stare meglio e potevano unirsi agli altri nei reparti. Venivano affidati a psicologi e assistenti sociali e per ultimo all'ospedale Militare di Verona. Per alcuni, a seconda della vicenda giudiziaria, richiedevano la riforma per tossicodipendenza o infermità mentale, per altri l'affidamento in prova in caserme non lontane da casa; per i disertori che dovevano scontare insieme alla pena militare anche una pena civile il percorso era obbligato se non imposto con il ricatto (implicito nella prassi ovviamente): la riforma e poi il carcere civile. Per chi aveva cognizione di quello che vedeva, e riusciva prima, a scrollarsi di dosso quell'apatia del senssi critico, quel cinismo e riluttanza a pensare a cui eri costretto dalla routine quotidiana e da un lavoro imposto che subivi con frustrazione, e poi ad intravvedere in quel contesto carcerario un aspetto puramente umano rivolto al singolo, non più inteso come insignificante particella di una prassi o di un sistema, ma individuo degno di comprensione e attenzione, l'abbandono e il disinteresse nei confronti dei disertori appariva disumano e crudele. Essendo il disertore, prima di tutto un "disadattato" che diserta prima di tutto se stesso poi il mondo e infine, ovviamente, il servizio militare, che della sua emarginazione fa il movente e la giustificazione di droga, alcool, e malavita, la legge, lo Stato per lui garantisce solo il carcere, e in molti casi contribuisce ad ag~ravare la sua posizione infierendo con una riforma per infermità mentale o tossicodipendenza, concorrendo così a far saltare gli ultimi ponti tra lui e la società. È vero c'era un rapporto cordiale tra carcerieri e carcerati, soprattutto quando i carcerati erano disertori, ma c'era anche un rapporto di reciproca diffidenza che a volte sfociava in conflitti e antipatie. I soldati carcerieri, impotenti e incapaci di comandare e di interferire sulla vita carceraria perché sprovvisti di autorità e perché loro stessi vittime e in un certo modo carcerati, si rivalevano sui loro nemici con ridicoli dispetti e meschinità. Ma si trattava più di complicità e aiuto reciproco piuttosto che il contrario. D'altronde non potrebbe essere altrimenti dal momento che, essendo il personale di governo interno ristretto al minimo, si trovava giorno dopo g\orno co_ntinuamente a contatto con carcerati comu111e speciali, tanto che i detenuti stessi diventano i diretti confidenti dei soldati carcerieri. Dai reparti al cortile, dallo spaccio alla mensa detenuti era territorio comune dove si incrociavano, si scontravano, si confrontavano, le vite, i racconti, i punti di vista, le frustrazioni degli WOLE DI VENTO

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