La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 16 - giugno 1996

e le differenze non vanno cancellate. Mentre la vita spirituale nella diaspora si può paragonare alla vita di un uomo che ha costruito la propria dimora al limite dell'acqua, e la cui preoccupazione costante è di verificare se l'acqua ha invaso o no la sua casa, e di im1;1edire all'infinito una possibile alluvione, noi siamo come un uomo che ha allontanato la propria abitazione dall'acqua. La questione del bisogno di essere diversi, dell'assimilazione, dei matrimoni misti, dell'educazione ebraica, delle barriere da porre di fronte agli altri, della partecipazione alla vita politica di un altro paese o delle reticenze in proposito, tutti questi problemi non sono più rilevanti. Noi possiamo volgere tutte le nostre forze alla costruzione della nostra casa e a occuparcene in modo realmente produttivo. (...) Sono sempre sorpreso quando parlo con degli ebrei che vivono fuori d'Israele, eccellenti intellettuali, uomini d'affari e liberi professionisti ben inseriti nelle loro attività e nei loro paesi, e mi sento dire che non scartano la possibilità di venire a vivere, un giorno, in Israele. Sicuramente il novantanove per cento di loro non si muoverà per tutta la vita, eppure non negano quella possibilità. È una cosa che merita di essere interpretata. Non sono parole superficiali. Una "ghiandola della redenzione" è presente in tutti gli ebrei che vivono nella diaspora. Il cammino di chi vuole emigrare in Israele è cosparso di migliaia di ostacoli personali e spirituali, ma il fatto che esista una minoranza che lo ha fatto spontaneamente dimostra che la cosa è possibile. Per migliaia di anni gli ebrei hanno detto "l'anno prossimo a Gerusalemme", credendo solo a metà in quello che dicevano. È così anche ai giorni nostri; ma nell'ultima generazione è nato un nuovo tipo di ebreo, quello post-diasporico. Colui il quale ha dentro di sé il ricordo di una antica indipendenza, la realtà fallita della diaspora, e una rinnovata esistenza indipendente. Tutta la sua identità ebraica si è realizzata in una realtà completa, ed è in essa che mette in gioco la propria identità totale. Un ebreo di questo tipo non potrà mai vivere nella diaspora, che per lui è un'ipotesi traARTE E PARTE montata. La "Gerusalemme celeste" non potrà mai sostituire per lui la Gerusalemme terrena. Questo gruppo di israeliani, di cui ignoro la consistenza numerica ma che sta sicuramente aumentando, porta con la sua stessa esistenza gli anticorpi più forti all'eLIBRI _ Piccoli autori e adulti furbi Goffredo Fofi Lontani i tempi in cui ben pochi editori volevano i giovani scrittori nazionali. Oggi se li contendono ed essi sono legione, una legione al cui interno le divisioni e le inimicizie sono molte. I reduci del '63 (come dire della guerra 15-18) li scelgono convocano distinguono nella fatidica Reggio Emilia delle Coop e dei nuovi modelli sani. Per esserci ancora, per mantenere potere. La loro scelta è prevedibile e riguarda i linguaggi "nuovi" - giovanilistici, similveri, tecnologici, postmoderni, truci e insomma molto letterari o molto duri o molto "nature". Questi vecchi hanno un bisogno ossessivo del "nuovo" e di essere ancora loro a decretare cosa è nuovo e cosa non lo è. Perfino, dalle loro cattedre istituzionali e televisive, dai loro posti di consulenti-dirigenti, di decretare ' (( . " cosa e eversivo e cosa non lo è - beninteso, come voleva l'autore di Schwejk, "nei termini della legge". Non era particolarmente eversivo, certo, raccontare sentimentucci e passeggiatine, tormentelli e disagiuzzi minimalisti, negli anni Ottanta - ahi, come eterni - ma lo era molto di più raccontare viaggi col sacco a pelo e spinelli cli gruppo? o infilare perline da filologi di1 ettan ti o professionisti? o estasiarsi sulle nebbie padane? o ricamarn spirituali sudari pieni d'anima? Il "nuovo" si aggirava per altre bande, queste erano tutte carte conosciute. Però il nuovo ha oggi, se coglie nel segno, subito schiesistenza storica della diaspora, ed è esso che deve avviare con decisione e onestà e senza ipocrisia la grande discussione tra Israele e la diaspora. ♦ re di imitatori nella oisivejeunesse asservita alle mode, riecastra e senza doveri, laureatissima, piena di tempo libero da nobilitare con le pratiche dell'arte, tanto più se facili da riprodurre. Ecco allora che il "nuovo" diventa rapidamente un'altra variante del noto, che invecchia presto prestissimo. Meglio allora, per scegliere, fidarsi del fiuto e della capacità - chi ancora ne ha un po' - di percepire nelle opere la qualità, la tensione, la coerenza, la radicalità di un progetto o quanto meno la profondità di un'esperienza. La schiera delle "promesse" si assottiglia allora rapidamente, quanto quella dei risultati. Il resto è sociologia, politica editoriale, gioco non di "scuole" ma di poteri. ♦

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