La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 16 - giugno 1996

Quello che Yeoshua cerca di tagliare con il secco colpo di lama della nazionalità israeliana è il nodo di Gordio di questa identità incerta, destinata a rendere altrettanto incerta la natura del paese che da quell'identità è nato. Non più ebrei ma israeliani, cittadini normali di un normale paese qualunque, fino a quando sarà _possibile ciò che lui stesso, laico per ecc_ellenz~~riconosce essere oggi quasi impensabile: l'esistenza di un ebreo cristiano o musulmano. Dunque non più diaspora, intesa fonte propulsiva di una sopravvivenza dell'ambiguità ebraica che necessariamente riverbera sullo Stato, coinvolgendolo e in prospettiva condannandolo. La costruzione di una mitologia nazionale comporta necessariamente il disvelamento e persino la denuncia di un'altra e confliggente mitologia; quella diasporica del- !' esilio e del conseguente "diritto storico al ritorno". La leggenda dell'esilio, pietra angolare dell'ebraismo diasporico, è per Yeoshua non più di una leggenda. L'esilio è stato non una condanna, ma una scelta abbracciata liberamente, e confermata nell'arco di due millenni, perché solo nel- !' esilio era possibile agsirare la contraddizione micidiale tra nazionalità e religione, che minacciava di distrugsere l' ebraismo. Anche il diritto storico al ritorno è dunque una tesi suggestiva, ma priva di fondamento. L'unico diritto che gli israeliani possono rivendicare è quello di un popolo a rischio di sterminio. La genealogia del ritorno, intesa come lungo risveglio di un'identità etnico-nazionale, è la risposta non solo alla confusione in cui si dibattono gli ebrei di tutto il mondo, ma anche alla specifica crisi del paese e dei suoi abitanti, descritta nei romanzi precedenti. Sia L 'amante che Un divorzio tardivo sono basati su una struttura corale. Il racconto a più voci mira a trasformare le vicende dei due gruppi famigliari protagonisti in una panoramica complessiva del paese, dei suoi dilemmi e delle sue malattie. Il protagonista del secondo romanzo, per esempio, è uno dei tanti israeliani che hanno dato vita a una specie di "diaspora del ritorno", rinunciando a vivere in Israele, e il problema dell'emigrazione è comprensibilmente uno di quelli che più tormenta "il nemico della diaspora". Ma quello stesso groviglio di nodi, la demotivazione che colpisce gli israeliani e a volte li riporta sulla via del volontario esilio, l'invadenza della religione che per' certi versi avvicina Israele alla condizione di uno stato confessionale, il rapporto con gli arabi, i palestinesi e ancor più quelli d'Israele, non rappresentano solo le difficoltà a cui Yeoshua spera di porre rimedio con la formula di un paese normale e normalmente laico. Sono anche la storia di Israele, la sua unica realtà una voLIBRI glia che si voglia troncare il rapporto di continuità con l'ebraismo dell'esilio e con la cultura della diaspora. Nell'elencarli e trasformarli in letteratura, Yeoshua non intende affatto stilare un lamentoso elenco di pericoli e difficoltà, ma in qualche modo $ettare le basi per una specie d1 moderna epica nazionale grazie alla quale portare a termine queHa trasformazione da ebrei in israeliani le cui origini ha descritto nel Signor Mani. ♦ Conclusioni sulla diaspora A. B. Yeoshua (traduzione di Alessandro Guetta) Il brano che segue conclude il saggio di Yeoshua sulla diaspora (1980) nella traduzione offertane dalla casa editrice Giuntina in Elogio della normalità (Firenze 1991). ♦ Una situazione di pace completa ci libererebbe dalla nostra dipendenza (immaginaria) dalla diaspora, e ci restituirebbe la nostra dignità. Invece di occuparci di un'educazione ebraica nella diaspora fine a se stessa, dovremmo concentrarci sull'immigrazione. Qualche volta un eccesso di cultura ebraica diminuisce il bisogno di venire in Israele. Piuttosto che cercare di sedurre gli ebrei per farli venire, con seduzioni immaginarie, bisogna mettere a nudo la patologia della diaspora, la sua immoralità, la sua posizione che vede sia in Israele sia nei diversi popoli un albergo di passaggio. Adesso che Israele esiste, non ci sono più pretesti per questa schizofrenia esistenziale che ha creato il modo d'essere della diaspora. Quelli che cercano frammenti di realtà israeliana dovranno venire a trovarli in Israele. Non ci dovrà più essere quella corrente di inviati, professori, danzatori e cantanti che attraversano le ·comunità ebraiche per fornire loro una pseudoIsraele. I discorsi su problemi e valori dovranno essere sostituiti dai problemi stessi e da una messa in causa reale dei valori in una realtà totale. Da questo deriva la nostra posizione nei confronti di chi ha lasciato Israele. Il nostro atteggiamento di biasimo e il rifiuto di trovar loro un lavoro nelle istituzioni ebraiche riceverà più forza morale dal fatto che noi biasimiamo e rifiutiamo l'esistenza diasporica in generale. Il nostro atteggiamento negativo nei confronti degli emigrati è. ipocrita, nella misura in cui non si estende a tutta la diaspora. Abbiamo forse bisogno di un nuovo dissidio interno? Servirebbe a qualcosa? La mia risposta è affermativa. Il conflitto con la diaspora farebbe emergere soprattutto ciò che è proprio a noi che viviamo in Israele, rispetto a quelli che vivono altrove. Svelerebbe di nuovo quelli che sono i principi fondamentali, per i quali combattiamo: la libertà, l'indipendenza e la realizzazione dell'ebraismo in una realtà globale. Piuttosto che abbassarci fino a morirne per un chilometro quadrato di terra in più o in meno, è meglio che ci rendiamo conto cne il vero problema è altrove. L'essenza della nostra vita è diversa da quella della diaspora, ARTEE PARTE

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