La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 16 - giugno 1996

Un auspicio per il governo: nientemeno che cambiare lo Stato Gianfranco Bettin Gianfranco Bettin, scrittore, è prosindacodi Venezia. ♦ Romano Prodi credo sia consapevole delle molte attese che circondano il suo governo, attese che sono state alla base del suo successo elettorale e che oggi impongono risposte efficaci, innovative, rotture drastiche col passato. Di queste attese, di queste speranze sono portatori coloro che amministrano il paese su scala locale, nei Comuni in primo luogo. Coloro, tra questi, che si occupano in particolare di politiche sociali si aspettano anche di più. È infatti sul fronte dello stato sociale che si sono giocati, in gran parte, gli esiti della recente consultazione elettorale ed è dunque sulla promessa di una riforma del sistema di protezione sociale che non destrutturi le garanzie fin qui assicurate ma le trasformi, le potenzi, ne migliori la qualità che Prodi ha conquistato la fiducia della maggioranza degli elettori. Tuttavia nessuna positiva innovazione nel campo delle politiche sociali può oggi prodursi senza che mutino profondamente la natura e la struttura del sistema istituzionale, dello Stato. Lo Stato centralista e burocratico ha dato tutto ciò che poteva dare, nel bene e nel male. Semmai, sopravvivendo, è di male che può farne ancora molto, e dunque occcorre interrompere l'agonia e il degenerare al più presto. Occorre ricentrare sulle autonomie locali i poteri reali, le risorse, le politiche (salvo ciò che deve restare in ambito nazionale: la grande pianificazione, la difesa, la politica estera, e poco altro). Per questo, anche chi lavora prevalentemente nel campo sociale non può non chiedere al governo e al parlamento di mettere al primo punto della propria agenda la trasformaY.QQ zione dello Stato in senso federalista, il trasferimento, cioè, di quanto più potere reale possibile nel luogo più vicino possibile alla comunità alla quale si chiedono il mandato politico e le risorse per esercitarlo. Le risorse sono sempre più scarse. La crisi finanziaria dello Stato è sempre più acuta. Occorre perciò responsabilizzare i cittadini alla giusta e misurata gestione delle risorse, stabilire insieme le priorità, far vivere il senso autentico della comune necessità di contribuire agli investimenti, al mantenimento e allo sviluppo dei servizi fondamentali. Chi, in particolare, vive ai poli opposti del paese e della costellazione sociale - nelle regioni dell'opulenza come in quelle dell'incertezza, della crisi interminabile, della disoccupazione - avverte acutamente il bisogno di riscoprire le motivazioni che possono tenere insieme la comunità, perfino la comunità locale, impedendo che la disintegrazione frantumi ogni solidarietà e che l'egoismo, il corporativismo, il campanilismo nutrano la transizione in corso esclusivamente delle loro cattive ragioni. Il permanere di uno Stato centralistico e ottusamente burocratico, un po' assistenziale e un po' clientelare, sprecone, oppure, all'opposto e ancor peggio, ugualmente accentratore ma convertito al mercato e al liberismo spinto, al taglio della spesa sociale, rappresenterebbe il pegsior fattore di crisi democratica che si possa immaginare e, insieme, l'elemento più pericoloso di un devastante attacco al sistema di tutela sociale. Destrlltturare questo Stato, ricostruire le basi della convivenza a partire dalle comunità locali, dai Comuni - cioè dalle città che rappresentano la radice dell'esperienza democratica italiana, fin dagli albori della sua tradizione civica - è qualcosa di drammaticamente imr,egnativo, eppure di inevitabile. La strada opposta, permanere nel presente stato di cose, conduce solo a esasperare le tensioni già latentemente distruttive che lo percorrono lungo tto il paese. La spinta "fe tlista", cioè la forzatura in ·ezione della ripresa di pote~ diretto da parte delle comunira locali, parte sia da nord che da sud, anche se al nord e specialmente nel nordest essa è oggi più esplicita, f iù consapevole. Ma anche ne meridione iniziano a manifestarsi segni più evidenti di questa spinta. Il rischio è che si producano in opposizione e in diretta sfida · a quanto avviene a nord, con in più il carico di rancore e di insofferenza sacrosanto da parte di chi vive le situazioni più difficili nel paese. È per questo che il governo può e deve agire come elemento insieme di moderazione e di iniziativa, di trasformazione riformatrice. Ogni azione parziale, ogni politica di settore rischia, per quanto giusta e illuminata possa essere, di fallire strategicamente se il quadro istituzionale e l'apparato decisionale, se la macchina amministrativa e il sistema di raccolta e redistribuzione delle risorse, resteranno quelli attuali o, peggio, degenereranno ulteriormente. La sfida democratica dei prossimi anni, forse addirittura dei prossimi mesi passa attraverso molti fronti - risanamento economico, riequilibrio dei conti pubblici, lotta alla disoccupazione e in particolare al circolo vizioso tra sviluppo e riduzione del lavoro necessario, rilancio delle politiche di welfare, eccetera - ma intorno al nodo dei nodi della riforma dello Stato e del sistema istituzionale tutti questi fronti convergono. È lì che aspettiamo Prodi e tutti coloro che, il 21 aprile scorso, hanno chiesto di essere investiti del mandato drammaticamente impegnativo di rimettere in sesto le cose. Speriamo che sapessero quel che dicevano. Speriamo che sappiano quel che dovranno fare. ♦

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==