La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 16 - giugno 1996

di teatro e danza che trovano difficoltà a collocarsi su di una scena carente di spazi a disposizione delle novità, microfestival, mostre, tutte attività culturali che, a partire da una logica non sovrapponibile a quella del mercato, rinnovano il panorama, offrono spazi e a volte anche reddito (poco) a giovani artisti, cooperative di service da palco, ecc. Non va sottovalutato che tutto questo si coniuga con una rinnovata partecipazione all'evento culturale, l'attivazione di energie altrimenti spese nel consumo passivo di prodotti banali, un primo momento di ricomposizione di alcuni legami sociali all'interno di una realtà che non è quella tradizionale. Altro esempio utile può essere quello di molte radio locali che $arantiscono la propria sopravvivenza e reddito a una parte di coloro che ci lavorano attraverso la libera associazione dei loro ascoltatori. O ancora la costruzione, con soldi raccolti durante spettacoli e concerti organizzati appositamente, della sala di registrazione del centro sociale Forte Prenestino nella quale produrre materiale che pur venduto sul mercato sia svincolato dalle logiche della distribuzione e della promozione delle major discografiche. Ancora si possono ricordare la miriade di corsi delle cose più disparate (sport, yoga, ballo, scuole di musica, lingue, artigianato) che spesso sono realtà che non hanno scopo di lucro, svolgono una funzione di socialità e rispondono a nuove modalità di impiego del tempo da parte degli individui. Non dimentichiamo poi, anche se le cose ci stanno costringendo a farlo, che il bacino mediterraneo, per cultura, per vita sociale, partecipazione è uno dei luoghi dove certe dinamiche hanno uno spazio quasi naturale per esprimersi mentre la spinta omologante della globalizzazione tende a disfarsi della realtà vitale e caotica del Mediterraneo in favore di un modello ordinato, efficente ma escludente e gerarchico (Padania e Catalogna contro Campania e Andalusia). Sviluppo di realtà che provengono dal basso significa quindi anche preservare e aggiornare un patrimonio di enorme valore che sarebbe troppo triste vedere ridotto ad attrazione turistica (il sud la Florida d'Europa??!) La necessità dell'individuo di sentirsi parte della società (o di un segmento di questa), o almeno di riconoscere diritti reali di cittadinanza anche a una porzione di popolazione esclusa per forza di cose e contro la sua volontà, è dunque, una questione da porre all'ordine del giorno se si vuole evitare di portare la società globale verso un modello sociale escludente in ogni sua forma (Nord-Sud, centro città-periferia, aree urbane-aree rurali, lavoro-non lavoro). Ecco che va introdotta la questione della riorganizzazione dei tempi e dell'utilità del terzo settore. Abbiamo di fronte uno dei due elementi che hanno reso popolare l'idea dei lavori socialmente utili. Qui si tratta di favorire, incentivare, promuovere attività in risposta a bisogni più strettamente connessi alla sfera pubblica e raggiungere uno scambio con questa. . Questo scambio può avvenire sia in termini di offerta di lavoro da parte del pubblico che di offerta di servizio da parte d1 associazioni, c'?operative,. grupp\ infor~ali che con questo s1mettono 111 relazione e s1propongono come possibili partner in grado di svolgere un compito non adeguatamente svolto dalle istituzioni. Non si tratta e non si deve trattare di sussidi di disoccupazione maschera.ti, si tratta di favorire pezzi di società che si rendono utili al miglioramento della qualità della vita di tutti e che hanno un'idea diversa dei rapporti economici e sociali. Il terzo settore è società che si organizza per condividere un'attività anche economica a pàrtire da un interesse comune e dall'individuazione di un bisogno. Quando le istituzioni riconosceranno l'esistenza della necessità di dare risposta a quei bisogni, allora l'incontro tra questi due mondi potrà svilupparsi in maniera proficua. Occuparsi divolontariato, avere la possibilità di seguire corsi e avvenimenti culturali, essere parte di un gruppo di quartiere ecc. sono già uno strumento di inte~razione determinante. Lo sviluppo di attività extramercantili e di cura di persone e cose favorirebbe questo primo passo; lasciando aperta la questione di una riduzione dell'orario e della partecipazione paritetica di tutti (lavoro per produzione di merci, lavoro di cura, tempo libero). L'incentivazione da parte dello stato (anche come committente) di attività che siano insieme risposte a bisogni sociali e politiche di inserimento e occupazione sconta ritardi terribili e un forte ostruzionismo da parte delle forze che tuttora si battono per aumento della flessibilità e congelamento delle retribuzioni. Le spiagge sporche, i musei chiusi, le biblioteche dagli orari paradossali, l'assenza di centri di orientamento di ogni tipo, lo scarso monitoraggio del territorio, l'assenza di manutenzione del verde pubblico, di monumenti e edifici situati nei centri storici (la cattedrale di Noto), l'animazione nelle scuole e lo sviluppo di attività di doposcuola, sono tutte mancanze enormi alle quali le istituzioni potrebbero dare risposta pescando nel mare di imprese nonprofit già in vita o possibili. Se non si tratta, come in effetti è, dello spirito santo, certamente queste attività contribuiranno a una maggiore coesione del tessuto sociale e ad attenuare gli effetti della marginalità economica. Soprattutto, i due tipi di esempi fatti finora (terzo settore come industria culturale e del tempo libero in aumento, terzo settore come strumento di risposta a bisogni della collettività), favorirebbero quel salto di paradigma, la fuoriuscita culturale e psicologica dalla società industriale-salariale, che va assolutamente fatto se si vuol pensare di superare il disagio generalizzato nel quale si trovano tutte le società sviluppate. Ecco perchè non convincono molto le iniziative prese dalle istituzioni in materia di lavori socialmente utili (si pensi all'impiego di cassintegrati o al libro bianco di Jacques Delors): non c'è, in quelle misure la presa d'atto della novità di fase, si pensa a manovre con~iunturali tese ad alleviare l'impatto della recessione. Siamo ancora dentro all'idea keynesiana di intervento pubblico mentre occorre andare oltre. Affrontiamo ora un tema che si coniuga sempre con quello dello sviluppo del terzo settore: quello che in Italia viene riassunto con la formula della riduzione dell'orario di lavoro ma che è in realtà qualcosa di più complesso e che potremmo definire la "redistribuzione del lavoro e liberazione del tempo" (Agostinelli, segretario della Cgil Lombardia). A questo proposito occorre operare un salto di paradigma che porti le società contemporanee a mettersi alle spalle l'organizzazione fordista del tempo, orari ma anche fasi della vita, e renda RICCt({EPOVERI

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