bri di Pennac e, infine, le bombe nei metrò, sono lì a dirci che non serve la biblioteca più grande del mondo ad accrescere il livello di vita culturale di tutta la popolazione ma la ricostruzione di un tessuto sociale e culturale fatto di eventi piccoli, diversificati e che coinvolgano tutti. Le meraviglie dell'architettura apf aio no in realtà come la vetrina della città su mondo, occasione di rilancio turistico, calamita di investimenti, volano del commercio di lusso. I casi di due tentativi del genere parigino (l'evento architettonico e mediatico come strumento di crescita economica) in due luo~hi fuori dalle aree forti ci aiutano forse a capire i problemi per i deboli che devono impegnarsi a sopravvivere su di un mercato nel quale si muovono dei giganti senza grazia. Le Expo colombiane del 1992, tenutesi in città diverse ma entrambe segnate da una pesantissima crisi economica e occupazionale, Genova e Siviglia, vennero presentate come la leva per rigenerare l'economia di quelle città ai margini del nocciolo duro dell'Unione Europea. Oggi i due meravigliosi parchi architettonici sono praticamente chiusi, non hanno creato posti di lavoro e sono per metà affidati ai privati nella gestione redditizia (acquario a Genova, luna park nella capitale andalusa), entrambe prive di prospettive credibili di riuso per le quali mancano soldi, progetti ed entusiasmo. I costi per mantenere questo stato di cose escludente crescono all'impazzata, il numero di poliziotti, vigilantes, vigili e controllori vari cresce in ciascun paese del mondo e se vogliamo possiamo pensare alle ronde nei vicoli di Genova pieni di droga e di immigrati o all'impressione che deve fare Roma con le sue sirene, i suoi posti di blocco e le sue garritte ovunque, a un turista con spirito di osservazione. Centri commerciali, spesa telematica, uniformità dei prodotti di ogni tipo, dai gelati confezionati (gli stessi in tutta Europa) ai vestiti passando per piatti esotici surgelati conf ezionati in Olanda e feta e mozzarella danesi (principale produttore mondiale del formaggio greco-turco) sono il portato di un mercato che genera aspettative enormi ('just do it' e così via) e fornisce risposte monocolori. Uno dei mercati più mondializzati in assoluto sembra oggi quello della produzione e del consumo di cultura di massa e di informazioni. La concentrazione del potere di produrre su scala mondiale questo genere di merce si va facendo schiacciante per qualsiasi nuovo soggetto che volesse tentare di affacciarsi su questo terreno. L'importanza economica assunta da questo tipo di merce immateriale, così facile da trasportare via cavo, ha accentuato, nel corso dell'ultimo anno, il processo di concentrazione creando delle vere superpotenze. I lanci dei film e dei dischi di artisti "mondiali" (tutti rigorosamente anglosassoni) avvengono contemporaneamente in tutta la terra, a seguir~ notizi_e da pri~a p_a~in~~i rileyanza per tutti non c1 sono p1u gli mv1at1 ma 1 rappresentanti di un paio di agenzie giornalistiche e fotografiche e canali globali come la Cnn. Il caso della guerra del Golfo appare in questo senso l'inizio di una nuova era dell'informazione, sotto controllo e ad una sola voce. La realtà locale viene trasformata, nel messaggio mediatico, in oggetto edulcorato, soft, una giungla senza serpenti velenosi né insetti, un Brasile senza bambini di strada, le tradizioni culturali banalizzate e private delle loro asprezze e difficoltà. Pensate a Shag~y, tormentone radio del '95-'96, più copie d1 tutti i dischi prodotti in Jamaica nonostante il disco non sia che una collezione di standard prodotti con molti mezzi e lanciato su scala mondiale dalla bella pubblicità della Levi's. Interessante in questo senso è la modalità attraverso cui si è sviluppata la grande diffusione che hanno avuto negli ultimi anni le opere di musicisti provenienti da ogni angolo del mondo, notorietà che è uno degli elementi arricchenti del processo di globalizzazione. Bene, per poter uscire dal mercato locale questi artisti devono per forza di cose a~ganciarsi a case di distribuzione multinazionali che spesso gestiscono e producono il lavoro artistico in maniera da renderlo appetibile al pubblico dei compratori di compact disc, magari svuotandolo di tutto il valore artistico o della carica innovativa. A questa notorietà non corrisponde quindi un innalzamento del livello di produzione culturale in loco, niente nuovi studi di registrazione, né festival internazionali: il festival più importante (e anche più dignitoso) della world music si tiene a Reading in Inghilterra, non al Cairo, Dakar o ali' Avana. Per ogni Nusrat Fateh Ali Khan o Youssu N'dour ci sono decine di artisti sotto contratto e inutilizzati, la logica è quella del Milan di Berlusconi: comprarli tutti anche se poi non giocano, intanto non giocano per ~li altri. I pochi cittadini del villaggio globale pescano attraverso le multinazionali della cultura ciò che gli piace delle varie tradizioni locali senza nessun contatto reale, come quando vanno al Club Med dove soggiornano in una realtà virtuale che credono essere il paese nel quale sono in visita. Stesso discorso s1può fare sull'editoria e sulla produzione cinematografica. Il caso itali:mo, un duopolio quasi totale di distribuzione cinematografica e proprietà delle sale è tra quelli più significativi in questo senso. L'avvento dell'età post-moderna, teorizzato come un superamento del noioso periodo fordista dei consumi di massa uguali per tutti, nel quale la società e il mercato si scompongono e frammentano in mille rivoli diversi e ciascuno trova risposta ai propri bisogni individuali non sembra per ora mantenere le sue promesse. Anche in questo caso il terzo settore, come strumento di risposta a una domanda per ora espressa solo in parte, ma anche come strumento attraverso il quale soggetti diversi possono produrre e consumare cultura fuori dal meccanismo tritatutto del mercato, si presenta come un'alternativa percorribile. Proviamo a rifare l'elenco dei limiti del mercato globale e cerchiamo di capire se e in che modo il terzo settore può aiutare a trasformare l'orrendo scenario mondiale e le sue manifestazioni fuori e dentro le mura delle nostre case. L'incontro tra stato sociale e cooperative sociali è forse il fronte più avanzato e dagli svilupri possibili più immediati. Per essere estremi si può dire che allo stato attuale lo sviluppo del settore non-profit sembra l'unica alternativa credibile alla demolizione sistematica delle politiche sociali. Questa strada permetterebbe inoltre di restituire all'assistenza un'umanità che questa, se c'è mai stata, sicuramente ha perduto. Nel settore pubblico gli impiegati vengono cambiati di posto e mansione senza aver ricevuto nessuna formazione, la loro motivazione è, per varie ragioni, molto basRICCHIEPOVERI
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