UNA RIVISTA: "LA TENDA" MicheleColucci Per chi le ha vissute direttamente deve essere molto strano ripensare, oggi, alle tante esperienze, politiche o culturali, sociali o religiose, nate e silupp~tesi ne~li an_ni sessantasettanta. Per me, che m quegli anm ancora non ero nato, sono impressionanti le differenze che si riscontrano confrontando quel periodo, quella generazione, quelle esperienze con la situazione attuale e penso di non essere il solo a guardare ad allora con grande interesse, ma soprattutto con curiosità, una curiosità diversa sicurament'e da un atteggiamento di pura osservazione archeologica di "ruderi storici" ma comunque molto influenzata dal distacco, dal fossato che separa la nostra generazione da quella dei nostri genitori. È strano roi soprattutto osservare come all'interno de magma di quegli anni, impossibile da unificare e molto difficile da definire, molte storie e molte esperienze siano state dimenticate, quasi cancellate dalla memoria collettiva, ma risultano ancora straordinariamente presenti e vive nel patrimonio culturale e storico di chi ne fu protagonista. Quella de "La tenda", rivista della branca scolte cieli'A~i vissuta dal 1966 al 1972, appartiene probabilmente a queste storie. "La tenda" nel momento in cui nacque fu un po' il segnale della maturazione della bran-. ca scolte, di quella parte cioè cieli'Agi dedicata alle rasazze tra i 17 e i 20 anni, l'ultima in ordine d1 tempo ad essere nata. Era un momento particolare nella storia dell' Agi come per tutta la società italiana, ci si trovava al centro di tante trasformazioni e di tante novità e "La tenda", come tengono a sottolineare le sue animatrici e redattrici, fu parte inte~rante di questi processi di trasformazione e d1 questi fermenti, non fu una semplice conseguenza di un clima generale o di una atmosfera particolare, fu una delle tante spinte attive di quel momento. Fin dai primi anni Sessanta stava cambiando la composizione sociale cieli'Agi, che perdeva progressivamente il carattere in quakhe modo elitario che la caratterizzava alle sue origini, sviluppandosi ad esempio nelle borgate, nei grandi quartieri operai del Nord, nelle province più dimenticate e arretrate del Sud. Dietro lo sviluppo e la vivacità cieli'Agi e de "La tenda" negli Sessanta c'è proprio questa novità, questa apertura, molto significativa non solo perché si rivolgeva a settori che fino ad allora raramente avevano conosciuto le forme dell'associazionismo giovanile, né tantomeno, gli scout, ma soprattutto perché era una proposta che si rivolgeva in un modo completamente nuovo esclusivamente a delle ragazze, ancora fortemente emarginate, isolate e legate a vecchie strutture mentali e a pregiudizi culturali nella società italiana di quegli anni. Allargare la base sociale dell'associazione significò soprattutto cambiare linguaggi e contenuti, cercando un continuo, ma non forzato, adeguamento alle nuove sperienze che si andavano diffondendo sempre più rapidamente, ripensando e riorganizzando il metodo educativo, che fu ridefinito dalla cosiddetta Magna Charta del 1965. La Magna Charta, documento molto importante che rappresenta un po' la terstimonianza e l'interpretazione delle trasformazioni che erano avvenute e che stavano avvenendo, si basa su due principi fondamentali: l'autoeducazione e la circolarità tra pensiero e azione. Per autoeducazione si intendeva quel modo di crescere che vede nell'associazione una funzione di stimolo nei confronti della ragazza, ma che ha in lei e solo in lei l'ultima responsabile e protagonista del percorso educativo che si compie, mentre con "circolarità tra pensiero e azione" si voleva definire il rapporto stretto tra teoria e prassi, sottolineando che l'esperienza nella realtà costituisce un modo per influenzarla e cambiarla, dando così una importanza centrale all'intervento sociale, con un tipo di impegno quindi molto diverso da quello a dimensi9ne "privata" su cui sembra fondarsi il volontariato attuale, ma molto più completo e totalizzante. Nella rivista confluirono queste nuove es1;1erienzee questi nuovi orizzonti, si cercò di evitare di fare semplicemente un giornale di associazione e "La tenda" diventò il luogo di catalizzazione e di elaborazione delle tante novità. Furono pubblicate, ad esempio, inchieste sul lavoro femminile e giovanile, furono raccotati e discussi i fermenti del mondo della scuola, si approfondirono le analisi sulla famiglia, sui ruoli al suo interno e sul suo significato, si sperimentò un uso nuovo e diretto del linguaggio fotografico e dell'immagine. Faceva chiaramente da sfondo ad un simile contesto una nuova idea della donna, della sua formazione, del suo ruolo nella società e della sua identità anticipando discorsi e battaglie che saranno poi fatte proprie dal femminismo, in anni in cui di femminismo si parlava ancora poco: l'unità di obiettivi tra i vari momenti dell'esperienza quotidiana doveva essere tangibile e concreta, si era, insomma, contemporaneamente non solo scolte ma anche cittadine, studentesse o lavoratrici. Altro discorso che stava alla base delle idee e delle intuizioni de "La tenda" era quello religioso. Si cercava di vivere una fede aperta e autentica, basata su una sensazione dinamica della chiesa e delle sue istituzioni, sull' ecumenismo, sull"'apertura alla realtà della Resurrezione" e, anche qui, sul rapporto stretto tra teoria e prassi e sull'attenzione all'impegno nel sociale: la comunità di Capodarco, in quegli anni ai suoi primissimi esordi, ebbe, ad esempio, proprio su "La tenda" uno dei primi servizi che la riguardavano e ne raccontavano storia e iniziative. L'imperativo conciliare di "scrutare i segni dei tempi" fu, insomma, fatto proprio e applicato in uno dei modi più chiari ed efficaci. Certo gli anni dello sviluppo della rivista coincisero, e anche questo viene ricordato ed evidenziato dalle sue fondatrici, con gli anni più vivi, più "incontaminati" della contestazione, con tutto il fascino e l' entusiasmo che essa portò, ma "La tenda" non visse WOLEDI VENTO
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