della nostra società, quelle su cui da anni ci interroghiamo e ci inquietiamo. Con un gesto per metà maturo e per metà disperato, una risicata maggioranza degli italiani hanno deciso di dare fiducia alla coalizione di centrosinistra al di là, pe~ co_sìdire, delle rrop~ie opinioni, forse perfino 111 contraddizione con esse. Questo dato costituirà ragione di una difficoltà politica permanente per Prodi e i suoi ministri. Ma in primo luogo rappresenta il cuore del problema della cultura di sinistra oggi. Ad essa non basterà cioè conservare il consenso che ha attirato - e gli interessi, le energie che è già in grado di • rappresentare. Essa dovrà spostare consensi e culture governando, con tutti i rischi di tatticismo e di giacobinismo che questa impresa comporta. Saprà resistere la sinistra italiana a queste tentazioni? È davvero vaccinata contro questi pericoli tradizionali che la complessità delle nostre società rende ancora più minacciosi? La risposta non sta più soltanto nelle scelte ideali e nella revisione del proprio bagaglio politico-culturale. Da questo punto di vista c'è per tutta la sinistra un ampio cammino da fare, infinite lezioni da riscoprire e da accettare; ma intanto, se si scorrono giornali e riviste di questa area, si incontrano ormai da anni molti di quei nomi, da Hannah Arend t a Simone Weil, da cui possiamo imparare molto di più che dai santini ingialliti - o insanguinati - della tradizione canonica della sinistra, quella marxista. Il problema sta nelle scelte concrete che si faranno, naturalmente, e nelle divisioni che faranno riemergere. Ma ancora prima sarà nelle energie che si coinvolgeranno, nelle risorse che si valorizzeranno, nel metodo con cui le decisioni saranno prese e realizzate. Il vero segnale di rottura che la sinistra deve dare non sta tanto nello spostare porzioni di ricchezza o nel difendere ceti finora indifesi. Certo, tutti ci aspettiamo maggiore eguaglianza fiscale, più attenzione al lavoro e al non lavoro, una politica dell'inclusione che riduca le situazioni di marginalità e di svantaggio. Abbiamo votato per queste cose e faremo bene a pretenderle. Ma la discontinuità vera rispetto al passato di destra e di sinistra - vale a dire rispetto alla storia del nostro paese - sta altrove. Sta nel non accettare il destino di una società frantumata e prostrata, frammentata da interessi diversi, impaurita dal proprio futuro. Sta dunque nella capacità - a partire dal governo e non più, non solo dal basso - di creare un terreno di confronto, di comunicazione, di fiducia, di cooperazione. Le esperienze cresciute affermando questi valori ai margini della affluente ed I:. ~~~~~~1 ................ ----- ~~~~~~~~ ~~~~~~~~ "ffff ~-~-ff~ .... -.... - ---....... egoista Italia postmoderna rappresentano naturalmente un punto di riferimento fondamentale, ma occorre molto di più, occorre l'invenzione di una nuova socialità che esalti le risorse e non le imprigioni, che valorizzi la creatività e l'impegno ma che agli individui e ai ceti sempre più atomizzati ricordi quale ricchezza, quale risorsa rappresentino la comunità, la società, lo stato. Sebbene la sinistra governerà con l'incubo di Maastricht, dei conti pubblici e del separatismo le$hista, è questo il segnale decisivo che deve dare. Anche perché altrimenti la sua sarà vittoria di corto respiro; e gli italiani proseguiranno il loro lento riaggregarsi intorno a un'idea meschina ed egoista di società. Siamo pronti per questo compito? E inevitabile dubitarne. Intanto, come è noto, non ha vinto solo la sinistra; e anzi, essa ha convinto anche per le scelte di alleanza non solo elettorale che ha proposto. Qui però il pluralismo che la coalizione dell'Ulivo e gli alleati "desistenti" hanno esibito (e che è una grande risorsa, non solo elettorale), sarà ragione di difficoltà a meno che non prosegua il processo di confronto, di trasformazione, di rimescolamento reale delle culture e delle appartenenze. Solo la continuità di questo processo, che ben al di là della vittoria è il frutto più prezioso della recente campagna elettorale, può permettere alla sinistra di operare un salto decisivo nel suo cammino, di rivitalizzare e reinventare i propri valori, di sperimentare nuovi approdi culturali e organizzativi. Messo in questi termini, tutto appare i:nolto difficile e, temo, meno entusiasmante. A torto, però, perché invece l'occasione è straordinaria e merita uno sforzo di attenzione ma anche di partecipazione. Per la sinistra og$i governare significa infatti non solo provare a cambiare il paese, ma dover cambiare se stessa. Del resto è quello che è già accaduto coi sindaci democratici, anch'essi portati al successo da un intreccio inedito e a volte accidentale di ragioni. E forse sarebbe bene riflettere meglio su quelle esperienze, capire dove e come hanno funzionato, dove e come hanno favorito quella trasformazione di metodi e culture politiche che sola può salvare quel sentimento comune, quel sentirsi parte di una comunità e di una società senza il quale la politica e la sinistra finiranno prima o poi sconfitte. Abbiamo dunque di fronte a noi una possibilità, piccola ma preziosa. Nonostante appaia limitata, striminzita, perfino casuale, questa vittoria elettorale ha infatti da sola un grande significato culturale. Smentendo tutte le tesi - banali, acide, mistificatorie - sul tramonto delle differenze
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