d'approdo di una ricerca teatrale, ma l'indovinato ed equilibrato crocevia scenico dove i teatranti-meticci hanno potuto fortificare il loro incontro. Risalendo verso la narrazione, gli attori sene~alesi e romagnoli trovano ciascuno il proprio antenato, ma quel che più conta, toccano la completezza di uno "scambio reciproco": una di quelle forme di dono o di dialogo fra culture che ripristinano la gratuità e l'armonia di un teatro del rito che - contro tante tentazioni e illusioni anche recenti - è l'esatto contrario del "rito del teatro". Intrecciando le proprie storie ma ancora di più fondendo e confondendo i propri dialetti, i griot africani e il fuler nostrano si rendono vicendevolmente interpreti - nel doppio senso di attori e di traduttori - presso un pubblico che potrà variare di nazionalità e di età (lo spettacolo, in Italia, privilegia il pubblico delle scuole), ma che ogni volta si ritroverà ad apprendere la storia dell'uno dalla bocca dell'altro, e contemporaneamente a sottomettere i segni e i fatti di ciascun racconto alla preponderanza di un canto e di un ritmo che non è il minimo comun denominatore ma il massimo comune multiplo del linguaggio umano. "Griot Fuler" proprio affondando le radici evita quasi tutti gli stereotipi, e non viene finalmente da sottolineare la solita semplicità del dire o l'essenzialità del gestire: quello che il pubblico avverte è invece, ad esempio, che la "comunità" può essere una normale condizione piuttosto che una straordinaria sensazione, e che il teatro non la ricrea dividendo gli spettatori a secondo della loro (razionale) padronanza di una lingua, ma raccogliendoli sulla base di una medesima (musicale) appartenenza alla stessa storia. Quella storia che è libertà del racconto e non dittatura dei fatti appunto "storici". Quella storia che si va a ripescare all'indietro nel tempo e che si lancia in avanti per predisporre il proprio destino: come un tessuto di relazioni fra gli uomini e le cose, che, non importa se trovato o inventato, serve appena a difendersi dalla vita. Dunque quella storia che apl?ena qualcuno la narra già tutti la riconoscono: la storia vera. Siamo stati sicuramente gli ultimi ad accorgersi di un piccolo grande spettacolo come questo, ma per fortuna non ci tocca di fare i critici teatrali e non è nostro compito capire per primi. È un nostro dovere, però, capire per bene, soprattutto se si è arrivati al termine di un avventuroso viasgio. E quindi magari all'inizio di un faticoso progetto. "Griot Fuler" è infatti uno spettacolo che gira già da tre anni: ormai nemmeno più per vendere, ma decisamente per comprare la possibilità di un ritorno in Senegal al gruppo di attori africani di Ravenna Teatro. Il progetto è quello di fondare una "casa del teatro" alle porte di Dakar, e più precisamente a Guèdiawaye, una città dove è intensa (e per noi inimmaginabile) la mescolanza delle etnìe e dei dialetti, delle culture e dei popoli che compongono il Senegal. Ii progetto è allora anche quello di ritrovare nuovi punti di partenza, facendo appunto incontrare e fondere queste diversità, tutte africane, in nuovi e davvero inediti "meticciati teatrali". Il progetto o la speranza è quella che il teatro possa così servire a riattivare, o difendere meglio, quei viaggi e quelle avventure (dei viandanti, dei musicisti, dei narratori africani ..) che fino a ieri hanno alimentato da soli una cultura orale e spettacolare che non aveva nessun bisogno di chiamarsi teatro e tantomeno di una "casa" che si chiamasse così. Oggi, si sa, non è più così. Oggi dunque - hanno ragione gli attori bianchi e neri di Ravenna - ha senso moltiplicare l'esempio e costruire le case di un teatro meticcio che si renda centro di umane relazioni: ha senso anche in un mondo dove le arti e i linguagsi, le storie e i saperi sono già fusi in un meticciato che il nostro teatro se lo sogna. In un mondo dove, pur svalutati e minacciati, si riproducono ancora i griot. ♦ A coloro che volessero contribuire alla costruzione del "Guèdiawaye Théatre", segnaliamo l'apertura del conto corrente postale n. 11923489 intestato a "Ravenna Teatro". Certo, si dirà, sono altre soprattutto in Senegal le necessità e i bisogni ai quali andare incontro, ma chi ha detto che i lussi o i desideri debbano essere sempre rinviati all'infinito? ARTE E PARTE
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