CINEMA Uomini e donne degli anni Novanta in ferie, ad agosto Maria Nadotti Ho visto Ferie d'agosto il 18 aprile scorso, a Milano. Mancava meno di una settimana alle elezioni politiche e nel nostro paese (o perlomeno nella città del Carroccio, che fa da periferia ad Arcore) si respirava un'aria da derby calcistico, squadra contro squadra, se tu tieni per loro io non sono più tuo amico. Chi legge si chiederà cosa mai c'entri questa piccola premessa paratestuale con Ferie d'agosto, opera di buon artigianato registico e dignitosa attualizzazione del genere "commedia ali' italiana" verdeulivo e l'Italia azzurrolibertà con le microstorie private raccontate con humor, verve narrativa e fondamentale simpatia da Virzì. La relazione tra l'una e le altre (mi perdoni il regista, se rinuncio a parlare del suo film come di un testo cinematografico e se scelgo di guardarlo con occhio sociologico e antropologico) è la stessa che un individuo può avere con la fotocopia della propria fotografia: un rapporto di identità appiattito, congelato, inerte: Il doppio scatto fotografico fissa, immobilizza, assolutizza. L'immagine toglie a ciò che racconta il suo divenire, vale a dire la sua storia o passato e il suo inevitabile mutamento o futuro. Inchiodandola all'assoluto presente, la fa cessare per sempre come è o appare oggi. Non soggetto a trasformazione, evoluzione, cambiamento, ciò che la fotocopia racconta si ontologizza e si impone come stereotipo, cliché, dato antropologico. L'uomo, la donna, la coppia, il giovane, il vecchio, si convertono in tipi, i tipi in categorie, le categorie in modelli, e via all'infinito, in una girandola di maschere comiche, tragiche, trasicomiche che cancellano aslt individui proprio la loro singolarità. Questo, mi. sembra, ci tiene a dire Virzì: il satollo poARTE EPARTE polo italiano, che all'epoca della guerra del Golfo si preoccupava più di far scorta di cibo in scatola e di investire nei Bot giusti che di discutere le scelte di politica internazionale del nostro governo, ha sviluppato in questi anni un' "omogeneità di classe" che va ben al di là dei valori, dei comportamenti, degli stili, dei gusti, in altre parole della squadra politica e/o ideologica a cui ognuno dichiara di appartenere. Da soggetti siamo diventati genere, da persone con una loro individualità e coscienza abbiamo finito per diventare gli accessori (lavoro, status, vacanze, frequentazioni, letture, consumi, abitudini quotidiane) che indossiamo. In Feried'agosto, ambientato in un'isola di Ventotene riminizzata e - per quel poco che se ne vede - deturpata e laida, la Sinistra e la Destra nazionali si ritrovano, dunque, gomito a gomito nella figura di due "generi" di famiglie in vacanza. A separarle (o unirle?) ci sono una siepe di fichi d'india e un altrettanto inconsistente gap culturale, poca curiosità e una montagna di pregiudizi. L'una pensa dell'altra quello che l'altra specularmente pensa di lei. "So' alternativi, poracci", dice la Destra (il nucleo familiare che ruota attorno a Ennio Fantastichini e Sabrina Ferilli) della Sinistra; "sono facsisti e vandali", dice la Sinistra (la famiglia allargata che ruota attorno a Silvio Orlando e Laura Morante) della Destra. Dove, per alternatività della Sinistra, si deve intendere, indiscriminatamente: niente televisione, spinelli, nudismo, omosessualità, promiscuità, vaghezza dei ruoli familiari, amore della natura, senso di colpa nei confronti dei diversi-inferiori (extra-comunitari), civile intolleranza nei confronti dei diversi-pari. E dove, per fascismo e vandalismo della Destra, va inteso, in un sol fascio: violenza, razzismo, consumismo, volgarità, dipendenza dalla televisione, tradizionalismo, mancanza di senso civico, aggressività, cattivo gusto. Il film potrebbe svilupparsi su queste due rette parallele, siocando sui contrasti, i malintesi, l'inevitabile esplosione del conflitto, l'impossibilità comunicativa. E invece, a poco a poco, Virzì ci porta altrove: La Destra e la Sinistra, misteriosamente, si attirano, come se ciascuna per esistere avesse bisogno di riconoscersi stringendo i ranghi contro l'altra:. Come se il "chi siamo" di un gruppo potesse scaturire solo da un "non siamo come loro", alimentato da una simmetrica identità per differenza dell'altro gruppo. Il film, però, n'?n sembra avere per bersaglio neppure questo magnetismo da stato d'assedio, guesto tropismo degli oppost1. Ciò a cui assistiamo è infatti la prosressiva erosione dei fili spinati tra Destra e Sinistra. Non perché qualcuno si sforzi di rompere il muro della differenza, ma perché forse la differenza non c'è proprio, a meno che non s1 vogliano scambiare per diversità quelli che altro non sono che formalismi, increspaturre del gusto, vezzi ideologici e cliché. La rozzezza e la protervia che caratterizzano la Destra non sono più letali o inutilmente autocompiaciuti e parassitari della raffinatezza e della democraticità della Sinistra. L'esito finale dell'attrito tra le due forze teoricamente uguali e contrarie dovrebbe essere un nulla di fatto, oppure una vittoria/sconfitta, oppure ancora la conversione di fronte alle ragioni dell'altro. E invece, come si diceva anni fa, le parallele di Virzì convergono. La conclusione del film è inequivocabile e spettatori/trici possono andarsene a casa in pace: l'Italia è, al di là di destre e di sinistre, un paese di padri, di famiglie, ruoli familiari e piccole economie domestiche, materiali e sentimentali. Tutto si ricompatta su questo: Stronzi e moralisti, vandali e ecologisti, violenti e pacifisti, si riconoscono in quello che ci fa tutti uguali e ugualmente umani: la patria potestà, la responsabilità del nostro nucleo familiare, del nostro orticello mononucleare, la capacità di costituirci in
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