La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 15 - maggio 1996

CINEMA "lo ballo da sola": grande freddo in Toscana PaolaMalanga Milanese, Paola Malanga, scrive di cinema su "Duel" e ha appena pubblicato un saggiosu Truffaut pressoBaldini e Castaldi. ♦ È "curioso" come un film che s'intitola Stealing Beauty - rubare la bellezza - abbia un prologo videomusicale che culmina in un risarcimento, una restituzione, un omaggio. Quasi che Bertoluccii sintonizzandosi sulla cosiddetta generazione Mtv, mettesse subito in chiaro da che parte sta, e siglasse - con la, v1de~- cassetta registrata che I anonimo operatore (è Carlo Lisca cioè Carlo Cecchi? potrebbe, a giudicare da qualche dettaglio) non tiene per sé, bensì lancia in extremis a Lucy - una dichiarazione d'amore tra le più co~moventi c_heci sia capitato d1 vedere ulumamente. Molti segreti del film sono racchiusi in questa scatoletta nera, che negando ogni morboso voyeurismo, giace sui binari di una stazione toscana, ai piedi di una lumi!'losa ragazza americana che s1 avvia su una collina dantesca, SP,rofondata in una catastrofe silenziosa, come se entrasse nel paese delle me_raviglie. E ciò che Bertolucc1 promette nel prologo mantiene poi in tutto il film: lo ballo da sola è certamente il ritratto , ironico fino alla cattiveria sottile e sorniona, di un mondo di adulti chiuso nelle proprie regole del gioco, non a ca~o in Italia, ma è soprattutto ti regalo che il regista fa ai figli organi e dispersi di quel mondo, cui vanno il suo rispetto, la sua meraviglia e la sua speranza. "Come hai fatto a venire fuori così?", chiede Jan a Lucy. Davvero una bella domanda. La storia è presto detta: Lucy arriva in Toscana per cercare il suo vero padre, avendo come unico indizio una poesia della madre morta (Bertolucci dichiara nelle interviste che si è suicidata, ma ARTEEPARTE ciò non risulta dal film, e meglio così); e anche per rivedere il ragazzo incontrat? e ba: ciato qualche anno p~1m_a,d1 cui conserva la foto e 11ricordo di lettere non proprio originali. Le due "indagini" hanno come teatro una tenuta variamente popolata di artisti o pseudo tali: uno scrittore in fin di vita, uno scultore al momento un po' a corto di ispirazione, una designer di gioielli, un aspirante attore che si è riciclato come avvocato nell'ambiente dello spettacolo un anziano mercante ' . d'arte legsendario, una g1orna lista d1 posta del cuore. Dopo una serie di false piste, la ragazza scopre l'identità dell'ignaro genitore, e dopo un'altra serie di falsi incontri trova anche il ragazzo giusto con cui fare l'amore, ripetendo la scena che vent'anni prima, nello stesso luogo, ha dato origine al suo co1:cepim~~- to. Un intreccio ps1coanal1t1co caro a Bertolucci, che tuttavia questa volta rimane al suo posto: vale ;t dire sullo sfondo (e sapientemente intrecciato ad un altro schema compositivo: lo vediamo dopo). Così come sullo s~ondo rimane anche la sceneggiatura da lui scritta insieme a Susan Minot, niente di più di un canovaccio piuttosto risaputo per una rappresentazione ~he sposta altrove la sua rag10n d'essere e precisamente nella messa in scena, parola e concetto purtroppo caduti in disuso. È nella messa in scena - che non è solo regia, ma anche orchestrazione ( per i critici anni Cinquanta dei Cahiers du Cinéma era "l'arte di mettere in relazione i corpi in uno spazio") - che Bertolucci costruisce il senso e la bellezza del film, mentre, parallelamente, con l'aiuto delle forbici di Pietro Scalia, taglia senza pietà metri e metri di pellicola impressionata, riducendo quelli che in origine probabilmente erano personàggi a semicomparse (grandiose, ma pur sempre comparse) e spezzando_ anche l'originaria costruz10!1e del,l_a sceneggiatura. Prendiamo I inizio del film, ovvero quella splendida serie di piani sequenza, a volte in soggettiva, con cui il regista disegna l'autonomo arrivo di Lucy nella tenuta: gli abitanti del micromondo visitato dalla ragazza sono tutti addormentati, prigionieri di non si sa (ancora) cosa, come fossero sotto l'ef- ·fetto di un incantesimo. È Lucr a sveg_liarli,è lei ~ ri~ettere m movimento un ms1eme di individui narcotizzati dalla afosa bellezza che li circonda e che si sono scelti come rifugio. Ma nonostante qualche sussulto non c'è niente da fare: le onnipresenti statue di Matthew Spender, c~e i~- combono come una minaccia ovunque, emblema di un'umanità rigonfia e bloccata, sono lo specchio degli inquilini della tenuta. Non a caso le pose degli attori sono spesso identiche a quelle delle statue, e il sonnambulo Monsieur Guillaume, verso la fine, esplicita l'ovvio dicendo: "Vi amavo tutti, quando eravate .. ,, VIVI • La Toscana dove Bertolucci ha scelto di ritornare in compagnia di una splendi_da attrice americana, dopo quindici anni di assenza cinematografica dall'It~li~ (La tragedi~ ai un uomo ridicolo, 1981) , e in effetti il regno dei morti - occidentale naturalmente - dove ciascuno monologa e non sa più ascoltare gli altri, come fa notare en passant il reporter di guerra (Carlo Cecchi), che invece di essere in Bosnia va al ricevimento in casa Donati. Ed è un regno di intellettuali isolati dal mondo e prigionieri dei rropri ~antasmi (lo scultore, m particolare sembra veramente un carce'rato condannato ai lavori ' . forzati) _sf!niti dall_a_propna insostembtle banahta e dalla propria impotenza. In Io ballo da sola la Toscana è un inferno elegante, a mezze tinte, dolce e armonico, dove il buon gusto degli arredi e dei vestiti riesce a mascherare per poco o l?er nulla la volgarità morale m cui è sprofondata una- generazi'?ne che sogna_v~ di cambiare ti mondo e s1 e autoesiliata in un'utopia degenerativa, generazione che il regista conosce bene dal momento che ne ha fatto parte. E

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