stato lì dall' '84 ali' '86 molte volte ho avuto la possibilità di vedere questo mondo antichissimo che cambiava di mese in mese. Lo si constatava dai dettagli più irrilevanti: la radio del taxi non trasmetteva più l'opera di Pechino ma il rock and roll di Hong Kong, la gente per la strada cominciava a mettere su dei sorrisi diversi e a vestirsi in un modo diverso. Ciò che è successo con il cinema cinese è molto interessante. Ho potuto vedere il passaggio da un cinema che aveva due identità diverse, la Shangai "hollywoodiana" e la Pechino "moscovita", ma che comunque era un cinema vecchio penosamente vetusto, a un cinema di cui ·ho constatato l'esistenza proprio nel momento in cui sono iniziate le riprese dell'Ultimo imperatore, un cinema fatto dai giovani che mi invitavano alle proiezioni e mi permettevano di assistere all'aprirsi e fiorire di un nuovo cinema cinese di cui mi sono, in qualche modo, sentito anche parte, pur essendo lì con un film di grande produzione internazionale. Nasceva una nuova avanguardia, non a caso negli studi decentrati di Xian, come era nata anni prima a Parigi, e non a caso con grossi problemi nei confronti del potere, del regime. Chen Kaige mi diceva che L'ultimo imperatore ~li aveva dato il coraggio di fare un passo in qualcosa di diverso, di uscire fuori dal cinema nato nei ministeri della cultura. Tornando a Io ballo da sola devo dire che mi è molto difficile parlarne, perché devo parlare di gente che ha vissuto m una sorta di comunità privilegiata e isolata per vent'anni e che si è andata via via isolando .... ...e sconsolando, senza più iducia nella possibilità di buttarsi atttivamente nella società. Significativa in questo enso è la reazione dei due personaggi dei giovani, una reazione positiva che forse si potrebbe paragonare a quella di intellettuali e registi che hanno ripreso a occuparsi seriamente della società' in cui vivono ... Anche se alcuni lo fanno da posizioni marginali, fuori dal "centro" abituale ... La marginalità di alcuni di loro è una scelta guidata dal desiderio. Gianni Amelio è il riù i_nte_ressa~tedei registi italiam di oggi e va a fare un film su una certa innocenza culturale collettiva violata, perché gli ricorda la stessa innocenza che esprimevano le parole del padre in partenza per l'America. Voglio dire che insomma la città ripugnante anche se bellissima rimane sempre al di là, in fondo non ci si entra mai: Gianni Amelio va in Albania, e io trovo Lamerica un film molto interessante perché è come se un roeta a cui sono stati tolti gli elementi di cui la sua poesia si costituiva sia dovuto andare a ritrovarli, riconoscendoli e riconoscendovisi, altrove. Lamerica è un film in cui la realtà italiana entra come irrealtà televisiva totalmente deviante, disinformante, diseducativa per i poveri albanesi che hanno la sfortuna di vedere l'Italia attraverso la furbizia malevola dei protagonisti italiani e attraverso i frammenti di televisione vista con occhi assolutamente ingenui dagli albanesi.Trovo in Amelio un movimento che non è tanto diverso da quello che mi portò me in Cina, dove ero andato per ritrovare me stesso e mi sono dovuto attaccare all'idea che il mio film dovesse essere un melodramma di tipo verdiano riuscendo solo così a riconoscerlo, perchè uno deve riconoscersi in quello che fa anche se è dall'altra parte del mondo. Ma dopo la Cina, c'è stata l'Africa, e poi il Tibet, prima di tornare a metter radici in Italia. I o ballo da sola è nato dopo che avevo riflettuto molto sul punto cui ero arrivato con Il piccolo Buddha e dopo aver pensato che forse c'era uno scarto tra I' esrerienza e l'intelligenza buddista -ti bbetana, poiché è l'intelligenza la cosa che mi ha più colpito nei Lama che ho incontrato, lo straordinario addestramento delle loro intelligenze ad affrontare l'occidente con il loro back-sround e con una capacità di acrobazia intellettuale che mi ricordava certe finezze di Godard e dei francesi dei primi anni Sessanta e però con un effettivo training clella personalità verso i valori di armonia e di pacificazione, la volontà di ridisegnare una personalità in modo da reagire in modo diverso alla storia, al mondo. Quando mi dici che in Io ballo da sola c'è una certa armonia io credo che essa sia il risultato dell'esperienza accumulata nei film di questi ultimi dieci anni, ma soprattutto con Il piccolo Buddha. È allora che mi sono sentito in grado di tornare in Italia, e ti assicuro che ciò che mi aveva spinto lontano dal paese era stato vedere come inesorabilmente tutte le profezie pasoliniane (ma non solo pasoliniane) si avverassero, e non ci fose pressoché nessun modo di lottare o di reagire. A quel punto non ero più un moralista come lo ero stato negli anni Sessanta e Settanta, e ho preferito andarmene. C'è stato così quest'esilio volontario questa fuga questa evasione, ma a un certo punto tutto questo si è come spento dopo l' '89 e Il tè nel deserto. Cominciavo a preparare Il piccolo Buddha e mi è sembrato che una grande chance si stesse aprendo per noi tutti, la possibilità di una riflessione che non c'era più da tanti anni. Era come se ci fosse improvvisamente un paesaggio alla Germania anno zero dove però il ragazzino, molto tragico ma anche eroico, si muoveva nell'altra parte. Poteva venir fuori qualcosa di molto importante. Poteva. Non credi ci sarebbe stata la possibilità se fossero esistiti ancora dei centri intellettuali di elaborazione di uscir fuori con qualcosa di nuovo? Questo non c'è stato, affatto, anche se quello che mi ha riportato in questo paese è stato il desiderio di fare un nuovo episodio di Novecento. Non c'è stato niente di tutto questo, la grande autocoscienza collettiva è stata solo sfiorata ma non si è mai veramente attuata, anche perché lo sfascio post-muro di Berlino è stato vissuto qui da noi in modo rriolto sterile, non si è riusciti a tirar fuori nulla di positivo . In. Italia, in particolare, ci si sentiva indenni da colpe, perché qui c'era il partito comunista più grande ma anche più indirendente d'Europa. E oggi bisogna ricominciare daccapo, ancora una volta. ♦ ARTE E PARTE
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