CINEMA "lo ballo da sola": ritorno in Italia BernardoBertolucci a curadi Goffredo Fofi Due cose mi hanno colpito soprattutto del tuo film.La prima: Io ballo da sola ha qualcosa di una renoiriana Regola del gioco senza tragedia incombente, senza il conflitto servi-padroni e senza l'avvicinarsi del conflitto bellico annunciato dalla grande scena della caccia.Una Regola del gioco che narra un'Europa o un Occidente che credono di poter vivere in un eterno presente privilegiato e un po' stolido. Una regola del gioco senza tragedia e anche senza regola.Troppo gioco e poca regola ... La seconda:l'impossibilità di un 'isola felice, di fronte a una città a cui bisogna comunque tornare, la città degradata della storia, del disastro, eperò della sola prospettiva possibile d'azione, se si vuole ancora vivere e agire...Il cinema, come è ovvio, accentua oggi soprattutto la logica dell'eterno presente, non sente la storia e non ci crede. Si gioca tutto sull'immediato, se non ci sono speranze e ambizioni collettive, complessive. Naturalmente c'è nel film una grande sapienza costruttiva, una sensualità dell'immagine, del movimento, del suono, dei corpi, che appare controllata più del so[ito. Questo tuo è un film armonico equilibrato saggio, che sa costruirsi e arianizzarsi e sa. sempre dove Jermarsi. Anche questo è un aspetto desueto, nel cinema, che gioca semmai su una sensualità negativa, se così si può dire e su una disarmonia diventata maniera.Sull'orrore dei corpi invece che sulla bellezza dei corpi...Ultimo e non ultimo motivo di interesse, il ruolo che attribusci ai due ragazzi del finale, che reagiscono alt' adattamento nell'isolamento, alla piccola utopia separata degli intellettuali della villa (non geniali, normali ...) preferendo tornare alla città. Quel gruppetto cosmopolita cl1e ha messo a suo modo radici sulla collina ha un passato che io nel film non descrivo, essendo il film un film al presente, su un momento preciso di vita del gruppo; dicono che è da vent'anni che hanno quella casa, e dietro di loro c'è una storia, di cui erano presenti nel film piccole annotazioni che poi sono saltate, per ragioni di priorità e di sopportabilità dell'insieme. Ian _per esempio leggeva "il manifesto", ed era qualcuno che sicuramente nel passato ha partecif ato molto di più alla vita de paese d'elezione e che - come anche intellettuali non stranieri, italiani - hanno vissuto negli ultimi anni un rallentamento del rapporto con la storia e con la società in cui vivono, una specie di fuga da qualcosa che in fondo noi non riusciamo più a notare, a capire, che non ci emoziona più. Avevo molta voglia, tornando in Italia, di fare un film come Novecento,cui invece ho rinunciato perché, di un' epoca che andrebbe dal '45 alla fine del secolo, gli ultimi anni non saprei come rappresentarli. Giuro, non riesco a capirli. E dovrei almeno lasciare che questa realtà si depositi. Così ho pensato di tirar fuori un capitolo di questo Novecento, che è il 1968 (poi torneremo a Io ballo da sola),e il desiderio mi è venuto proprio girando questo film, e considerando e riconsiderando la generazione che va dai 18 ai 24-25 anni, nei cui confronti ero un po' diffidente "storicamente", perché avendo cominciato a girare film molto giovane mi sono trovato sempre a spendere il mio tempo con gente più vecchia di me e ho sempre mancato - dopo aver mancato la mia generazione - le generazioni più giovani, non le ho mai frequentate. Adesso quel minimo rapporto che ho avuto sul film, però molto intenso coi pochi che avevo intorno, minimo quanto a rappresentatività, perchè si trattava di giovani con delle definizioni particolari, pure è bastato ad accendere in me il desiderio di guardare·di nuovo verso i giovani. Me ne è venuta una grande curiosità, e così il progetto '68 piano piano si è andato un po' chiarendo, di un film che potrebbe e dovrebbe essere non una rievocazione più o meno storicocritico-nostalgica di qull'anno, ma proprio lo scontro e il confronto molto diretto tra ragazzi di oggi e la realtà che abbiamo vissuto noi. Ho pensato proprio a una "macchina del tempo" alla H.G.Wells, con dei giovani di oggi paracadutati nel '68 che si trovano di fronte i giovani di allora, che non sono altro che i loro genitori. I loro genitori che, da quello che mi è parso di capire parlando con i giovani di oggi, ho la sensazione che soprattutto negli ultimi dieci anni abbiano taciuto quella loro esperienza, non l'abbiano più raccontata. Questa specie di vuoto nella memoria storica dei giovani di oggi mi fa venir voglia, con una spinta moplto istintiva, di prenderli su e di portarli nel '68. Quasi un film di fantascienza! C'era un grandissimo capitale, allora, o almeno noi pensavamo di averlo, ed era il capitale dell'utopia rivoluzionaria. Dietro ognuno di noi che facevamo delle cose, pure se si esprimevano in forme molto diverse, c'era sempre questo sosno della rivoluzione che poi poteva prendere delle forme molto speciali, molto diverse, e risolversi in alcuni su un _pianomolto personale e in altn, invece, su un piano più collettivo, più storico ecc. Questo progetto in fondo non è diverso da ciò che ho cercato di fare con i film di questi ultimi dieci anni, mossi dal bisogno di scoprire culture che mi erano completamente ignote, prima quella cinese - un'esperienza molto arricchente, molto emozionante, perché quattromila anni di cultura cinese li senti in ogni cinese che incontri, nel suo comportamento, nella sua psicologia. E questo per me è stato qualcosa di sconvolgente. Dopo c'è stata l'Africa, l'India. Io vorrei quindi che questi giovani del film sul '68 (giovani di oggi) fosse come se stessero andando in viaggio nel '68 per vedere se esistono
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