La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 15 - maggio 1996

PIANETA TERRA Il nuovo disordine mondiale. Le opinioni di Yvon Le Bot FrancescoEsposito FrancescoEspositostudiafilosofia a Bologna ♦ tra le diverse culture si rivela problematica, o addirittura impossibile. Oggi starebbe affermandosi la tendenza a una contrapposizione rigida, a un autentica collisione tra blocchi, non più su basi ideologiche, politiche e militari, ma culturali e religiose". Tesi semplicistica, commenta Le Bot: "le sette, otto forme di civiltà di cui parla Huntington lungi dal costituire degli insiemi omogenei sono attraversate da fratture interne, non solo di tipo socio-economi co e politico, ma anche prettamente culturali". Per Huntington, si tratta di differenze "secondarie". "La principale debolezza verso un processo di disintegrazione". Per Le Bot, questo paradosso rinvia del resto a tendenze e dinamiche più generali: "la modernità è inseparabile da un principio di universalità , che per attuarsi implica la rottura delle concezioni cosmogoniche e teologiche, la fine degli universi pre-moderni, rigidi e chiusi in sé stessi". Diversamente da quanto pensa Huntington, questo processo riguarda tutte le culture, non è esclusiva dell'occidente. Perciò "la moltiplicazione dei conflitti, rinviando sempre a delle culture preesistenti, a dei f~nomeni di appartenenza etnica o religiosa, dipende dal tipo di fratture che si incrociano all'interno di queste dimensioni". I conflitti presuppongono sempre delle "rotture interne". Le Bot fa anche alcuni esempi: "i fondamentalisti islamici che si scagliano contro l'occidente combattono in primo luogo un nemico interno: Salman Rusdhie, per esempio, o Taslima Nasreen, o gli intellettuali algerini". Il 18 e il 19 dicembre del '95 si è tenuto a Parigi un colloquio internazionale su Guerra epace nel XXI secolo. Dopo il sogno - infranto - di un "nuovo ordine mondiale", le analisi dei commentatori cercano oggi di decifrare le dinamiche di una situazione confusa e in movimento, tra l'esigenza di tracciare un bilancio del secolo "breve" che si chiude adesso e l'esigenza di individuare nella confusione del presente prospettive e scenari futuri. Guerre molecolari, conflitti etnici, lacerazioni multiple del tessuto civile e culturale proiettano un ombra preoccupante Qd4NDO E' wATomsm I MIB .5()6/VI V ALQù4 Il quadro di Huntington andrebbe pertanto complicato, reso più duttile e sfumato: "le 'rivolte contro la modernità' sono anche ,---------. dei tentativi di appropriarsi della modernità. I radicalismi etnico-politico-religiosi, le sette, i fondamentalisti, sono animati in realtà da intellettuali, ingegneri, quadri che cercano di mettere la ragione scientifica e la tecnica al servizio di rappresentazioni del mondo e modelli di condotta fusionali. La loro violenza, la loro disperazione testimoniano dell'impossibilità di superare una lasul nuovo millennio. Durante l'incontro Parigino, Samuel Huntington ha evocato l'incubo di un nuovo conflitto mondiale: "I conflitti locali più suscettibili di degenerare in vere e proprie guerre - come quelli in Bosnia o nel Caucaso - si situano lungo autentiche linee di frattura tra civilizzazioni". Quasi una profezia, un tentativo di ricondurre a un'interpretazione "forte", il micidiale disordine-- che abbiamo davanti. Yvon Le Bot, sociologo, direttore di ricerca del Cnrs , ha risposto criticamente a Huntin~ton su "Liberation" del 27 dicembre 1995. Le Bot sintetizza molto semplicemente la tesi chiave di Huntington: "Uno spettro assilla le nostre società, quello della guerra tra culture". Ma è valido questo modello, è utile a comprendere meglio la situazione? Questione di sfumature, come sempre: Huntington, continua Le Bot, "come i multiculturalisti radicali, come certi etnologi, tende a ipostatizzare le civiltà. In questa prospettiva, la comunicazione di questo paradigma - scrive Le Bot - sta nella sua incapacità di rendere conto simultaneamente dei fenomeni di mondializzazione e frammentazione" che caratterizzano il nostro tempo. Mentre gli scambi si moltiplicano, mentre si afferma un unico, grande mercato, i blocchi, le federazioni, gli Stati-nazione, i gruppi sociali, le istituzioni gli stessi individui tendono a decomporsi". In realtà viviamo immersi dentro un paradosso: "il mondo o~gi è sempre più unificato - 11 che non vuol dire che sia uniformato - e sempre più diviso; la sua unificazione si realizza attracerazione, che la loro azione contribuisce di fatto ad approfondire". Le Bot conclude così: "Più che manifestare la capacità degli attori sociali di mobilitarsi nel nome di una cultura, e la possibilità di scatenare conflitti di dimensioni mondiali, le attuali guerre comunitarie permettono piuttosto di verificare l'immagine di un mondo al tempo stesso unito e di_- sintegrato ..... Sono guerre civili interne alle società, alle comunità; la guerra tra culture è in primo luogo una guerra interna alle culture". ♦

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