reso la situazione più pesante: la necessità di procurarsi un contratto di assunzione ha posto queste persone in uno stato di assoluta inferiorità rispetto ai datori di lavoro; nel migliore dei casi, per essere assunti hanno dovuto versare da sé i contributi; altre volte, sfruttatori senza scrupoli hanno approfittato della condizione di bisogno dei lavoratori immigrati, pretendendo milioni per apporre la propria firma su un contratto. Altri, non hanno fatto neppure questo: hanno intascato i soldi e basta. E ora, i nodi cominciano a venire al pettine: pochi gio__rnifa, un rasazzo della Guinea è stato ucciso, dopo aver litigato con un imprenditore al quale aveva versato quattro milioni di lire per ottenere una falsa assunzione; la data dell'appuntamento in Questura si avvicinava, e del contratto non c'era alcuna traccia. Non so se il decreto 489/95 sia volutamente razzista, di certo però è concepito male: ha reso i lavoratori stranieri più deboli e ricattabili di quanto già non lo fossero; non riconoscendo il lavoro autonomo e la formazione al lavoro, ha costretto decine di migliaia di persone che vivevano del loro piccolo commercio o che stavano studiando a presentare un falso contratto di lavoro dipendente. Anche noi della Comunità di Capodarco abbiamo dichiarato il falso: 16 dei 20 allievi del Progetto "Immigrati e creazione d'impresa" erano privi del permesso di soggiorno; pensavamo di poter regolarizzare la loro posizione mediante un normale contratto di formazione, con il quale la Comunità si impegnava a fornire docenti qualificati e ad erogare una indennità di frequenza e gli allievi garantivano la propria partecipazione. Ma non c'è stato nulla da fare: "le norme - ci è stato assicurato da solerti funzio: nari della Questura - non contemplano il contratto formativo"; in pratica, siamo stati messi in condizioni di dover scesliere tra la regolarizzazione dei ragazzi mediante false dichiarazioni e la sospensione del progetto. Abbiamo scelto: convocata una conferenza-stampa, mon. Albanesi - nostro presidente nazionale - ha illustrato la situazione ed ha annunciato di voler assumere queste sedici persone come camerieri; in questo modo, abbiamo ottenuto i permessi di so~giorno. E così, il corso continua: 1 nostri camerierimanager sono ormai siunti alla terza fase del Progetto, quella in cui dovrebbe nascere l'impresa vera e propria. Si avvicina il momento in cui potrebbero realizzarsi progetti e sosni coltivati per mesi: la certezza della propna posizione di fronte alla legge, un lavoro vero, la possibilità di esprimere capacità professionali e potenzialità. Già, _eerché i venti allievi del corso sono lontanissimi dagli stereotipi sugli immigrati extracomunitari: tra di loro ci sono ingegneri minerari, veterinari, dottori commercialisti, ingegneri elettronici; il titolo minimo richiesto per l'ammissione era il diploma. Ma, nonostante i loro titoli, l'attività lavorativa svolta prima del Progetto era unica, comune a tutti: la raccolta di ortaggi e pomodori. Quando l'ho incontrato, raccoglieva pomodori anche Mohamed: 28 anni, algerino, una laurea in ingegneria mineraria utilizzata nel suo paese per pochissimo tempo. La sua famiglia è benestante, non aveva bisogno di emigrare: l'ha cacciato via l'integralismo, la guerra civile, la prospettiva di essere mandato al fronte. Ha una faccia i;,ulita, intelligente: è stato uno dei primi a darci fiducia, a capire che BUONIE CAmy1 questo corso era un'occasione forse irripetibile; in questi. mesi ha acquistato un f iccolo computer, che ha imparato ad usare ne tempo libero; conosce l'arabo, il francese e l'inglese; sono pronto a scommettere che sarà una delle colonne della futura azienda. All'inizio di quest'anno, Mohamed guadagnava 35.000 lire per dieci ore di lavoro nei campi. La storia di Bilia, 45 anni, del Burkina-Faso, è diversa: giunto in Italia nel '92, si è subito insediato nel ghetto di Villa Literno. Commosso, mi ha raccontato che per un anno e mezzo ha scritto alla sua famiglia lettere piene di bugie, perché si vergognava di dire come e dove viveva realmente: in quel periodo, ha lavorato duramente per guadagnare denaro da mandare in Africa. Era tutto pronto per la spedizione: aveva comprato un televisore a colori, un frigoriferQ, vestiti; nel rogo, ha perso tutto. Ha dovuto ricominciare daccapo, stavolta senza entusiasmo né fiducia. Quando gli ho parlato del corso, aveva un'aria trasandata; ha accettato di partecipare con l'espressione scettica di chi è stato ingannato e sfruttato troppe volte. Oggi è una persona diversa: arriva ogni mattina con la sua cartellina, ben vestito, e con un sorriso mi porge la sua enorme mano, al cui confronto la mia sembra quella di un bambino. Vorrebbe avviare una sartoria tutta sua, e spera di rivedere finalmente sua moglie e le sue due bambine. Infine; Awa: 34 anni, veterinaria, anche lei del Burkina-Faso, è l'unica donna del corso. È stata protagonista, suo malgrado, di una brutta storia: prelevata in piena notte dalla Polizia, l'hanno portata in Questura assieme ad altre sedici persone. Dopo essere stata trattenuta per 24 ore senza nessun motivo (non le è stato contestato alcun reato), le hanno intimato di presentarsi entro dieci giorni con tutti i documenti necessari alla regolarizzazione, pena l'espulsione. Awa quei documenti li aveva con sé già qoella notte ma si sono rifiutati di vederli. Piena di indignazione, ha continuato raccontandomi di tutte le volte in cui qualcuno per strada le ha gridato che era una puttana, per il solo fatto di essere una donna di colore immigrata; o di quando ha chiesto di poter lavorare in uno studio veterinario e le è stato risposto che - se proprio insisteva - potevano farle fare pulizie. Mentre parlavo con Awa, mi veniva in mente che quello degli immigrati è diventato ormai un problema d1 dignità. Il decreto-legge del Novembre 1995 sancisce il principio secondo cui gli stranieri extracomunitari presenti in Italia sono tollerati solo se svolgono lavori di bassa qualifica; l'idea che essi possano avviare attività commerciali o produttive non viene neppure presa in considerazione: tale è la considerazione che il legislatore ha di queste persone. Ed è da qui, da questo punto così basso che bisogna ripartire. In quest'ottica ,il nostro Progetto fornisce una possibile, duplice risposta: in primo luogo, rifiuta alla radice la logica del decreto, offrendo agli immigrati l'opportunità di raggiungere livelli elevati di qualificazione professionale. E soprattutto, cerca di far percepire il lavoratore straniero non più come un nemico che ruba il lavoro o come un assistito, ma.come una potenziale risorsa per l'economia del nostro paese. •
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