sulle questioni riguardanti l'immigrazione; la delega dovrebbe essere estesa comprendendo anche poteri di coordinamento rispetto alle competenze - in tale materia - attribuite ad altri Ministeri. Per aumentarne l'efficacia il Ministero della famiglia dovrebbe essere munito, ovviamente, di portafo~lio e quindi con possibilità di spesa diretta, sia sulle tematiche attinenti alle politiche di sostegno e promozione che su quelle attinenti alla ricerca sociale. (E i soldi? Sarebbe auspicabile, a proposito, che tutto il settore dei Servizi Civili del Ministero degli interni passasse in dotazione al Ministero in questione). Non secondaria sarebbe l'istituzione di un Osservatorio Nazionale - in collaborazione con l'lstat e il Ministero degli Interni - per l'arch:viazione, l'analisi e l'elaborazione dei dati, nonché per la pubblicazione degli stessi. A tale istituto spetterebbe l'autorità di fare le stime che determineranno la quota di ingressi annuali in base al principio - stabilito dalle normative vigenti - della programmazione dei flussi e all'interno di questa definire la sotto-quota di fabbisogno di lavoro. stagionale; allo stesso spetterebbe la definizione celle stime riguardanti le presenze irregolari in maniera che su queste non venga fatta bassa propoganda allarmistica (a proposito On. Gasparri, prima del Decreto $li immigrati irregolan non dovevano essere più di un milione/un milione e mezzo?). Un nuovo rapporto - su base legislativa - dovrà essere attivato tra il Ministero della famiglia e quello degli Esteri per quanto concerne il rapporto - fin' ora mai considerato direttamente - tra processi di cooperazione allo sviluppo e flussi migratori. A tale proposito nel riformare la legge sulla cooperaz10ne e quella sull'immigrazione andranno individuate norme di collegamento e di rafforzamento reciproco, in maniera che gli effetti dell'una possano produrre benefici sull'altra e viceversa. Gli immigrati e le loro associazioni (formali o informali) andranno considerati attori prioritari della cooperazione decentrata; cioè di tutte quelle forme di sviluppo che hanno come base propulsiva gli atton che intervengono nelle comuniù locali, sia dei paesi di insediamento che in quelli di esodo dei flussi medesimi. A tale proposito si potrebbero sperimentare (su tematiche specifiche) politiche sociali bidirezionali, nel senso che, concordate (e successivamente emanate) da due amministrazioni locali · - ad esempio quella di Roma e quella di Tunisi - produranno effetti normativi contemporaneamente nell'uno e nell'altro territorio, magari su questioni di interesse complementari. Dal punto di vista del riassetto organizzativo-funzionale, a livello di grandi Comuni, appare significativa la scelta operata - da pochi mesi - dal Comune di. Bologna di dar vita all'Istituzione (Cfr. legge sulle Autonomie locali). Vale a dire alla creazione di una struttura ad hoc con competenze di coordinamento e di intervento diretto sulle tematiche migratorie, con il potere - tra l'altro - di influenzare le scelte dei diversi Assessorati sulle medesime questioni (alloggio e accoglienza, servizi socio-sanitari, assistenza e accesso scolastico, anagrafe, ecc.). Ai comuni (oltre alle politiche sociali) potrebbero essere delegate anche funzioni di rinnovo - in sede amministrativa - dei permessi di sog$iorno; ovvero una volta che la Questura terntoriale rilascia il primo permesso perde la propria competenza su tutta la materia, in quanto l'intero governo delle questioni civili attinenti all'immigrazione passa agli Enti locali. In altre parole il rinnovo diventa competenza delle istanze istituzionali di base presenti nel territorio di residenza e di adozione (quartieri e circoscrizioni) dove nascono e si rafforzano le relazioni di cittadinanza con segmenti di popolazione autoctona. I permessi di soggiorno dovranno avere una varietà tipologica a base temporale, ad esempio: un anno al primo ingresso, due/tre anni dopo il secondo rinnovo e cinque/sette anni dopo il terzo per arrivare a quello a tempo indefinito dopo sette/dieci anni di permanenza; a ciascuna tipologia andranno collegate diverse "famiglie" di diritti di cittadinanza via via più impegnativi: dalla fruizione dei servizi a bassa soglia fino all'esercizio del diritto al voto amministrativo (magari dopo cinque/sette anni di regolare permanenza in un comune). A proposito - come fase intermedia - ci sembra importante Fesperienza dei Consiglieri aggiunti iniziata in alcuni Comuni (che purtroppo trova ancora ostacoli nel Comune di Roma), per arrivare, progressivamente, alle forme di sperimentazione più organiche come quelle attuate a Francoforte, Amsterdam ed Amburgo. c. Sul piano delle politiche del lavoro andranno sciolti alcuni nodi di fondo che si protra$gono - senza esagerazione - quasi inalterati sm dagli anni Settanta: la lotta al "lavoro nero" e il riconoscimento del lavoro autonomo nelle sue differenti sfaccettature. Questi aspetti acquistano una dimensione di drammaticità - come del resto abbiamo ulteriormente constatato anche in questi mesi di "sanatoria" - sia perché il lavoro degli immigrati alle dipendenze nella maggioranza dei casi privo di contratto, sia perché quello autonomo esercitato dagli immigrati è soggetto - ai fini del suo riconoscimento - a forte discrezionalità da parte delle autorità competenti, cioè le Questure territoriali. Andrà modificata la norma - risalente al Testo Unico di Pubblica Sicurezza del '31 - che prevede la reciprocità l?er lo svolgimento di lavori autonomi, ormai anacronistica ed umiliante per i cittadini stranieri presenti stabilmente nel nostro paese. In altre parole le varie forme di lavoro autonomo vengono pienamente riconosciute - teoricamente - soltanto quando vigono accordi bilaterali di reciprocità tra Stato e Stato. Le eccezioni, per tutte a svantaggio degli immi$rati, non mancano: infatti per la concessione d1 licenze ad imprenditori cinesi per lo svolgimento di lavoro autonomo, nonostante ci sia un Accordo specifico (del 1987), la discrezionalità sembra avere ancora la meglio (come denuncia da anni l'Associazione Africa Insieme di Empoli). Sul versante del lavoro dipendente col tempo si è creata una zona franca di contrattazione tra il datore e,il lavoratore straniero, fuori dalle norme che regolano la materia a livello nazionale; zona che assume anche connotazioni di illegalità, di sfruttamento e a volte di segregazione specialmente in alcuni comparti specifici: nei servizi di intrattenimento (bar notturni, night club, ecc.), nella piccolissima impresa edile, nel bracciantato agricolo stagionale e nei servizi alle persone. In questi casi le uniche modalità per rilevare il rapporto di lavoro (cessato o ancora in corso) sono: la denuncia all'Ispettorato del lavoro da parte dell'immigrato (o attraverso una azione ispettiva delle autorità competenti), l'autocertificazione dell'interessato (a BUONI E CAWV{
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