La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 15 - maggio 1996

La qualità della scuola è la qualità totale? Guido Arme/lini La tesi di Marco Revelli1 secondo la quale lo scontro politico in Italia non si svolgerebbe tra due schieramenti politico-sociali radicalmente contrapposti ma fra due "destre", una populista e l'altra tecnocratica, può essere sottoposta a una verifica, sia pure parziale, attraverso un'analisi dell'idea di scuola e di educazione che la coalizione dell'Ulivo ha posto con enfasi tra i punti qualificanti del suo programma. Se ci si limita alla lettura delle scarne "tesi programmatiche", l'impressione è di sconcertante sbrigatività; a parte gli enunciati relativi alla formazione professionale, in particolare quella post-secondaria, non si notano grandi differenze rispetto a quanto propone il programma del Polo: parole d'ordine come innalzamento dell'obbligo, autonomia scolastica, decentramento organizzativo e amministrativo, limitazione degli accessi all'università ritornano in entrambi i programmi senza che si delineino divergenze sostanziali; e anche sul tema scabroso della parificazione fra scuole statali e non statali le convergenze appaiono decisamente più forti delle divergenze, grazie anche alla genericità delle formulazioni. Più interessante è la lettura dei materiali di discussione, di illustrazione e di supporto alle tesi. È il caso di un testo che, a giudicare dalla collocazione che occupa nei documenti distribuiti dall'Ulivo nel corso della campa~na elettorale, ha il carattere d1 una dichiarazione di principi, e si pone come una cornice concettuale all'interno della quale collocare il tema della formazione: Una politica delle risorseumane, di Stefano Zamagni 2 : più che sulle specifiche proposte, corrispondenti all'incirca a quelle delle "tesi", vale la pena di soffermarsi sulla "filosofia" della scuola e della formazione che se ne può desumere. Il documento si apre con un'analisi della rivoluzione tecnologica in atto, della conseguente ~lobalizzazione dell'economia e dei suoi effetti sul mercato in genere e sul mercato del lavoro in particolare: su questo sfondo, in campo produttivo "le risorse che contano oggi sono soprattutto le risorse umane", quelle che più di ogni altra "creano valore aggiunto e aiutano il se~tore pro~uttivo dell'economia a funz10nare e a prosperare". Di qui la necessità di "investire sulla risorsa uomo". Compito precipuo della scuola sarebbe appunto plasmare questo tipo part1colanss1mo di risorsa, in modo da rendere l'Italia economicamente e produttivamente competitiva sul piano internazionale. L'inserimento della funzione della formazione scolastica entro questa cornice pone subito qualche problema; primo fra tutti quale possa essere il ruolo riservato nell'ambito della scuola a quelle persone che non l?romettono di essere efficienti "risorse"; in secondo luogo quale rapporto occorra instaurare, in campo educativo, fra la crescita autonoma dei bambini e delle bambine e l'inevitabile eteronomia derivante dall'assunzione delle leggi del mercato e delle produzione come criterio regolativo della formazione. Sul primo tema il documento non si pronuncia. Sul secondo invece è ambivalente: da un lato sembra fuoriuscire dalla cornice economicistica iniziale facendo riferimento alla "tramissione" dei valori della democrazia e della convivenza civile sanciti dalla Costituzione, e riconoscendo che il compito primario della scuola non è "la preparazione di risorse specifiche per il mondo del lavoro, ma la formazione culturale dei giovani»; dall'altro tende ad assimilare le due cose, sotto il segno delle «competenze critiche, interpretative, relazionali e progettuali» che sarebbero richieste dall'attuale organizzazione del lavoro. La tendenza a identificare la sfera etico-psicologica-sociale con la sfera economica viene pienamente esplicitata nel consistente capitolo dedicato alla formazione professionale, nel quale si motiva la necessità che la scuola non si limiti a trasmettere «skills tecnicoprofessionali» ma fornisca ai giovani più impegnativi «skills socialie relazionali». Nella nuova organizzazione del lavoro - spiega il documento - «diventano sempre più importanti quegli aspetti della prestazione che non sono specificati né specificabili nei contratti di lavoro e che possono essere realizzati soltanto da dipendenti motivati, cioè da dipendenti che partecipano". In altre parole, per inserirsi efficacemente nella nuova organizzazione dell'azienda, i lavoratori (ma, non a caso, il testo preferisce usare l'espressione "dipendenti") "devono condividere le strategie, ~li obiettivi e le politiche aziendali". Così la strategia della "Qualità Totale", secondo la quale in campo lavorativo il conflitto dovrebbe essere sostanzialmente abolito, e sostituito dall'interiorizzazione dell'ideolo$ia aziendale da parte di tutti i lavoratori, ad "alto" come a "basso" livello, entra come un'ideaforza anche nel campo dell'educazione3, e la figura del "buon cittadino" che dovrebbe uscire dalla scuola tende a identificarsi con quella del "dipendente" flessibile, creativo, collaborativo, disposto a far propri gli interessi, gli scopi, le strategie del suo datore di lavoro. Il documento lascia irrisolto il non irrilevante problema "di come tali qualità si possano insegnare e trasmettere e di quali siano, in generale, le istituzioni facilitative o ostacolanti", ma l'impressione del lettore è che il modo più efficace per educare i ragazzi e le ragazze alla assimilazione convinta dei valori delle imprese nelle quali lavoreranno consista nel far loro sperimentare una tale assimilazione fin dagli anni della scuola: se il traguardo è l'azienda in interiore homine, la sua premessa necessaria è la scuolaazienda in interiorepuero. YQQ.

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