presunti invalidi che, scoperti m buona salute, dichiarano di aver ottenuto la grazia a Lourdes, ma non per questo ritengono di dover rinunciare alla pensione. E poi c'è la cialtrona filosofia manageriale dei "fire walking", le camminate sui carboni ardenti (l'ordalia invocata anche dall'unto Berlusconi) con cui "accendere la voglia di successo" di intermediatori immobiliari alle prese con un mercato sempre più asfittico. Fra le cose più riuscite di Bella ciao ci sono alcuni ritratti di realtà marginali. Penso soprattutto alla ricchezza umana e al patrimonio di esperienza degli extracomunitari (e ha ben ragione Dea glio ad aspettarsi da loro "il romanzo italiano del nuovo secolo", perché dai nostri letteratini semplici o complessati sarà dura ricavare qualcosa che ci riscatti e ci redima dall'attuale piattume). Ma penso anche agli scavatori-rapinatori del sottosuolo na.l?oletano banditi poveruomim da cui è possibile trarre un'etica del lavoro, della fatica, dell'operoso ingegno e della solidarietà, assai più veritiera, nella sua tragica inesorabilità, di certo moralismo produttivista. E ancor di più colpiscono i ritratti delle città: la Milano ridotta a "borgo" e "latifondo urbano" dalla miope e provinciale politica della Lega, in cui la gente insegue soltanto il successo economico e "non fa più sacrifici", dove, se i giovani del Leoncavallo manifestano contro la distruzione inutile e selvaggia del loro centro, la borshesia insorge per lo "shopp111g interruptus'~ oppure la Napoli viscerale che vive tra "buio e chiarore, vuoto e pieno, silenzio e rumore", in un rapporto unico col segreto del suo antimondo sotterraneo; o ancora la Palermo che invece, attraverso l'opera di una alacre e tenace cooperativa di ex-detenuti, scava attraverso la città nascosta, sepolta dalle macerie e dai rifiuti, per portare alla luce la città negata (seppellita viva), farla rinascere, come è accaduto per lo Spasimo, uno splendido complesso cinquecentesco di cui s'era quasi perduta memoria. Ma anche la Palermo del Festino, grande orgia rituale che si celebra, per singolare antitesi nella ricorrenza della presa della Bastiglia, in cui la città inscena la sua voglia di vivere, di avere un'identità collettiva. Quella stessa voglia che gli tocca troppo spesso esprimere soltanto in occasione dei grandi funerali di Stato e di popolo. , Un altro elemento importante del libro è proprio questa auscultazione dei luoghi, del genius foci. Lo Spasimo è l'emblema della possibile rinascita di Palermo, così come i "~emelli" palazzi di Giustizia d1Milano e di Palermo sono gli emblemi di quella speranza di rinnovamento che mosse dal fenomeno felicemente denominato "Mani Pulite". Se lo SJ?asimo è l'esempio concreto d1 una città che recupera il suo passato, il palazzo di Giustizia è l'immagine di una città bunkerizzata, che sconta un drammatico isolamento. Mentre la cooperativa "Filippo Abbate - Pretoria Bellini" è stata capace di ripulire 350 anni di storia in 70 giorni, restituendo alla collettività un gioiello artistico d'inestimabile valore, nell'aula bunker, il santuario di una giustizia pachidermica, procede lentamente il già tardivo processo ad Andreotti. Alla celerità pra$matica di un gruppo di "sfasc1allitti", di reietti senza arte né parte, capaci però di promuovere un modello di sviluppo per l'intera città, fa da contraltare l'immobilismo di una classe egemone che sa di poter contare ancora su tempi lunghi, su infinite pastoie, e di poter dormire il sonno dell'ingiusto. Andreotti, nel processo che è stato definito "del secolo", viene sorpreso a concedersi un sonnellino mentre il suo avvocato svolge con acribia le argomentazioni della difesa. Che anche questa sia un'allegoria? Significa forse che al momento i potenti sonnecchiano, ostentando alterigia, impunità, sicumera nel1 'immutabilità delle cose? "Spasimo - scrive Deaglio - è parola che si addice a Palermo". È dolore atroce, fitta, spasmo, agonia. Ma anche doglia di partoriente. Dal corpo massacrato della città martirizzata può rinascere dunque la città nuova. Occorre però una maieutica sociale. La cooperativa "Bellini" ha aperto, a colpi di pala, la via per disseppellire quanto (ed è tanto) di vivo è rimasto sotto le macerie dopo gli innumerevoli terremoti e cataclismi politici e malavitosi che hanno funestato la nostra storia municipale. Nel mentre però la parte produttiva e sviluppata del nostro Paese, e cioè quel Nord che ci rimprovera di essere sporchi e d1 avere scarso senso civico, sta seppellendo la Calabria sotto una montagna di rifiuti altamente tossici, trasformando una delle più belle regioni d'Italia in una immensa discarica. "Il fatto che la Calabria sia stata prescelta come pattumiera, che questo sia diventato il suo ultimo, reale, modello di sviluppo, davvero non era stato previsto da nessun sociologo e fa male al cuore". È come uno spasimo. Un male che trafigge. Ci si aspetta di veder miracolosamente sgorgare lacrime radioattive dai Bronzi di Riace, i simboli della Magna Grecia sottratti a quello stesso mare che oggi sta diventando il cimitero di navi dal carico scomodo e imba-- razzante. Nel mentre una teoria di Tir va giù e su lungo la penisola per scaricare le sue scorie nelle 360 discariche abusive censite da Legambiente in Calabria. Bella ciao è "un saluto a tante cose belle che potevano esserci". E che non ci sono state. Un arrivederci, concede Deaglio. Speriamo. Intanto non scordiamoci delle tante cose brutte che ci sono state, che continuano a esserci. In fondo un diario serve proprio a questo: a non dimenticare. "Forse tutti noi scherziamo troppo sulla nostra memoria, vogliamo tirarla troppo da tutte le parti. Forse bisognei:ebbe smettere, sarebbe giusto anche il diritto all'oblio": così la pensa il vecchio professor Amedeo Molciani, citato nell'ultimo capitolo del libro. Mi sembra però che troppi scherzano troppo con le dimenticanze, con gli omissis e gli insabbiamenti. Ed è di questo (e per questo) che vale la pena di scrivere. ♦ Y.QQ_
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