La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 14 - aprile 1996

cambiare a ritmi del tutto imprevedibili. La ricostruzione è iniziata, sebbene in maniera disordinata e disomogenea. L'attività economica ha ripreso a fiorire. Dopo la dolorosissima parentesi della distribuzione delle terre, la produzione agricola è tornata a crescere un po' ovun~ue. Le attività collegate ai trasporti e ali' edilizia hanno subito un notevole sviluppo così come il settore del commercio e dell'intermediazione in genere, nel quale si registrano vitalità e dinamismo particolari. Ogni attività nella quale l'iniziativa della gente non ha bisogno di consistenti strumenti - in termini di competenza/esperienza e impiego di capitali - per esprimersi, si sta diffondendo a macchia d'olio in tutto il territorio. Bar, ristoranti, agenzie di viaggi, negozi forniti dei prodotti più svariati si moltiplicano, cambiando ogni giorno volto alle città. Tirana, con le sue vetrine, le decine di caffè che hanno invaso le piazze del centro, i lussuosi ristoranti ed hotel, i numerosi quotidiani e riviste in mostra nei chioschi o lungo i marciapiedi, il traffico intenso e roboante, ha assunto ormai i caratteri di una città europea. A livello macro si registrano anche importanti successi. La crescita del Pii, dopo il massimo registrato nel 1993, continua a mantenersi consistente. L'inflazione, che alla fine del 1992 oscillava intorno ad un valore annuo del 300%, durante gli ultimi due anni (1994-1995) è stata mantenuta quasi sempre al di sotto del 20%. Il deficit del bilancio statale si è ridotto considerevolmente. Il lek, unica moneta nell'Est Europeo, non ha mai perso convertibilità; negli ultimi due anni, anzi, si è anche mantenuto pressoché stabile il suo valore di scambio. Ma la cosa più importante è che finalmente il popolo albanese ha rialzato il capo e sta recuperando dignità nazionale e fiducia in sé. I giorni nei quali, nella convinzione di non poter nulla senza l'aiuto internazionale, si era mostrato disposto ad accettare il protettorato di qualcuno dei paesi occidentali, con tutto ciò che questo comportava, sono ormai lontani. Adesso a Tirana e nelle altre principali città del paese si respira un'aria nuova, che sa di vitalità, energia, intraprendenza, voglia di fare, di cambiare, di esprimersi. La valutazione dei successi e il riconoscimento della potenzialità, però, non possono condurci a distogliere lo sguardo dalle ferite ancora aperte e dalle tante insidie che minacciano il cammino intrapreso. Per restare all'aspetto economico, circa un quinto della forza lavoro è ancora senza occupazione. Il costo della vita continua a crescere mentre è stata quasi abolita ogni forma di sovvenzione sociale. Oltre la metà delle popolazione vive nelle campagne ai limiti della sussistenza. L'industria rimane paralizzata, schiacciata tra un processo di privatizzazione ancora in corso e la grave obsolescenza dei suoi impianti. I miglioramenti conseguiti sul piano macro-economico, d'altra parte, non sono interpretabili esclusivamente in termini di crescita economica, dal momento che elementi esterni hanno contribuito a determinarli. Fondamentali sono stati infatti, a tal proposito, i massicci aiuti internazionali, gli investimenti stranieri e, soprattutto, le rimesse desii emigranti, che secondo stime approssimative ammonterebbero SUOLEPI VENTO a circa 500.000 dollari all'anno, una cifra pari al 25% dell'intera ricchezza nazionale. Collegato a questi ultimi, c'è un altro aspetto che contribuisce a gettare delle ombre sulla ricostruzione intrapresa. A Tirana soprattutto, ma anche nel resto del paese, si ha la sensazione che tutto ruoti attorno allo straniero. Aumenta la presenza degli investitori stranieri. Il commercio si sviluppa in svariate forme ed in ogni area, anche la più isolata, solo grazie al denaro guadagnato all'estero. I beni che si vendono nei negozi non sono prodotti in Albania ma in Italia, Grecia, Turchia, Germania. La stampa estera gode di maggiore credibilità così come la Tv straniera (quella italiana, in particolare) di maggiore gradimento. Ma non è tutto. Interessi, attenzioni, speranze - delle giovani generazioni in particolar modo - sono proiettati verso l'esterno o meglio verso Occidente. Durante la primavera dello scorso anno, nelle aule di scuole e università di tutto il paese, il Cric (Centro Regionale d'Intervento per la Cooperazione, una Ong di Reggio Calabria con la quale collaboro) ha condotto una ricerca su "condizioni e attese dei giovani albanesi". Tra i ragazzi interpellati, il 76% ha espresso il desiderio di continuare gli studi all'estero, mentre una percentuale di poco inferiore (68,6%) si è detta incline ad emigrare, sebbene preferibilmente non in via definitiva. È senza dubbio un dato allarmante nonostante il quadro fin qui sinteticamente delineato lo renda ampiamente comprensibile. I giovani albanesi hanno una buona formazione di base ed un talento innato per le lingue. Secondo quanto ha evidenziato l'indagine, la maggior parte di loro è in grado di parlare almeno una lingua straniera, che i più hanno appreso da autodidatta. L'italiano è la lingua più conosciuta e l'Italia il paese sul quale si focalizzano in via privilegiata sogni ed interessi. In un lavoro questi ragazzi apprezzano la "possibilità di imparare cose nuove ed esprimere le proprie capacità" più dell'entità della rimunerazione ed assegnano un grande ruolo agli interessi culturali. Amerebbero viaggiare ed aspirano ad una vita più interessante. Sul futuro del paese si dichiarano tutt'altro che ottimisti (il 54% del campione considera l'Albania un paese minacciato da gravi pericoli) e rivelano a volte paure, diffidenza, individualismo. Tuttavia, esprimoho anche un forte bisogno di conoscere e imparare, che, innegabilmente, si scontra con una realtà povera di strumenti e opportunità. Frequentano una scuola nella quale diventa un "sogno" (come ci ha detto uno studente della Scuola Media "Haki Fejzo" di Burrel) anche solo avere dei servizi igienici degni di questa definizione. Studiano ancora sui libri del passato e non sono soddisfatti della qualità dell'istruzione ricevuta. Lamentano l'assenza di spazi (non solo fisici) atti ad accogliere una loro espressione libera e creativa. Considerano la disoccupazione il problema più pressante nel paese e sanno di avere scarse prospettive occupazionali. Assistono ai cambiamenti con soddisfazione ma anche con delusione. Conquiste e diritti che la transizione alla democrazia e all'economia di mercato porta con sé tendono a restare, almeno in parte, lettera morta. In più, si sta generando nella società una forte polarizzazione economica alla quale guardano sgomenti.

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