La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 14 - aprile 1996

righe si leggono disagio e insicurezza parlino invece con spavaldi toni di sfida. Così i brani di questo disco riescono solo parzialmente ad essere diretti senza essere banali: la ricerca di linguaggi per comunicare in modo immediato (quindi l'uso di parole gergali, volgari, modi di dire della strada, dei giovani) non è sempre condotta a termine con successo e i classici contenuti di denuncia dei centri sociali (a cominciare da un orgoglioso antifascismo) non vengono sufficientemente tematizzati. Altre volte le parole sembrano buttate giù alla ricerca di un effetto (che non riesce) e le frasi passano senza imprimere un concetto chiaro e de~ finito, si dimenticano in fretta non appena un pezzo finisce. Le canzoni denunciano problemi che non vengono affrontati in maniera esauriente: un accenno a temi come lo stupro, il razzismo, il "carovita" o il problema-casa è solo un vago e facile citare senza approfondire né cogliere il nocciolo del problema. Sono poi fin troppo prevedibili gli attacchi al "verme della villa d'Arcore", di dubbio gusto lo slogan "forza italia-f orza stronzi", prevedibili le accuse contro un "nemico" (inidentificabile) che "ci vuole tutti sotto botta", forzato e fuori luogo il riferimento alla strage alla strage alla stazione di Bologna. Questo risultato poco felice è in parte dovuto alla natura stessa della musica rap; questa nasce nella strada: l'attacco al "Potere", i temi sociali, l'aperta denuncia sono il suo punto di forza. Purtroppo la scelta della musica rap, della denuncia del parlare schietto, può essere anche un'arma a doppio taglio; Il rischio è di essere ripetitivi, scontati, superficiali, fondamentalmente poco incisivi. L'attività dei Centri Autogestiti ha il merito di promuovere tra pregi e difetti questo tipo di musica sperimentando nuovi linguaggi fin dall'inizio degli anni Novanta; dove nascono i napoletani Almamegretta? Chi pensate voglia imitare oggi (con poco successo stilistico ma enorme, purtroppo, impatto commerciale) un Jovanotti che, armato di tatuaggio, pizzetto e scarpe da basket, si vanta di aver portato la musica rap in Italia? Sotto il profilo musicale le cose vanno un po' meglio. Il cantato è il luogo dove le influenze rap si fanno più sentire: la voce cerca di non rimanere mai stretta nel tempo della quartina, è libera invece di allungare una nota o di lasciare una strofa in sospeso per poi recuperare su quella dopo. La voce femmmile non è però all'altezza delle due maschili. Gli altri strumenti invece rifuggono la rigidità di una cultura (quella hip-hop, da cui ~ascono p~i~cip~lmente il rap e il ra_g$amuffm) che, pnvileg1ando le forme verbali, mchioda la musica ai ritmi sintetici delle batterie elettroniche, alle basi preregistrate su cui cantare (ottime per fare gli "scratch" ma che dopo un po' risultano stantie), ai tempi in levare del reggae (che scandiscono bene la metrica soprattutto per il raggamuffin e_i canti slegati o fuori tempo del rap ). La batteria è "naturale" e alterna momenti in cui traccia ritmi duri ad altri in cui si nasconde dietro gli strumenti lasciando arrivare solo il ticchettio di un ritmo battuto sui piatti o sulla cassa del rullante. Chitarra e basso si intrecciano sostenendosi a vicenda, come nel pezzo "Verso la grande mareggiata", in cui il basso conduce da solo sia il tema ritmico che quello melodico, mentre la chitarra riempie i silenzi con dei feed-back e poi si riaffianca al basso con un arpeggio. Dopo un breve pezzo introduttivo la prima vera canzone è Devo avere una casa...; questa ha un basso altalenante e sincopato che si intreccia con le voci risultando melodica e di facile ascolto. Le tracce seguenti si tengono sullo swtso stile risultano però poco incisive e un po' insipide. È solo con il sesto l?ezzo (sud) che i suoni diventano più aggressivi: questa è una canzone veloce con un discreto arrangiamento e un basso che martella in controtempo, simili nello stile anche i pezzi seguenti, Conflitto, che dà il titolo all'intero lavoro, e Fascisti in doppiopetto, con ritornello da fischiettare. Alla noiosissima Sottobotta segue quella che sembra la più interessante di tutto il disco, Nel posto giusto: qui la chitarra sperimenta sonorità più acide e meno orecchiabili provando suoni diversi e accattivanti mentre la batteria scandisce un tempo quadrato è monocorde e il basso si inserisce tracciando un ritmo cadenzato e marcando le quartine con desii "slap" che accentano la battuta. Gli Assalti Frontali entrano così nel mercato con un prodotto carico di energia, cercando di parlare un linguaggio diverso anche se non sempre con successo: il prodotto nella sua globalità non è certamente eccezionale ma il gruppo è giovane e può migliorare. Ciò che forse manca è un'identità più definita, il che non significa "omologarsi" o "inquadrarsi", vuol dire anzi continuare a lavorare per trovare un proprio stile che dia particolarità a musica e testi. C'è infine un aspetto importante che è necessario evidenziare, che va al di là del giudizio sugli Assalti Frontali (i quali possono piacere più o meno secondo il gusto di ognuno). L'analisi di questo lavoro, attento negli arrangiamenti, ottimamente registrato, curato anche nella veste grafica, ha confermato l'ipotesi iniziale fornendo un'ulteriore dimostrazione che "si può fare", anche bene, con pochi (o meglio propri) mezzi. Riuscendo a vendere a prezzi concorrenziali, l'autoproduzione sfida le grosse industrie discografiche sia sul terreno élella qualità che su quello del prezzo (il che è paradossale), inoltre ripropone un tema già noto ma non per questo poco importante dimostrando che i Centri Sociali sono laboratori di cultura, luoghi professionalmente concorrenziali in cui s1formano ottimi fonici, tecnici del suono, ecc. (per non parlare di tutte le altre attività, dal teatro ai concerti live, con relativi attori, tecnici delle luci ...). Il disco finisce con .il pezzo H. C. in cui si strizza l'occhio al punk più aggressivo: un pezzo spontaneo ed energetico che trabocca d1 rabbia e lascia poi l'ascoltatore più "sereno", come liberato da qualcosa. Anche le parole sono di una rabbia confortante, una raggiunta alternativa: "se decido il mio destino, ora, di che ho paura (...) faccio tutto ciò che posso ma lo facc10 adesso, porto io il mio treno( ...) questo senso pi equilibrio non mi lascia". E il conflitto continua. ♦ SUOLEDI VENTO

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