TEATRO La "resistenza silenziosa degli uomini necessari". Antonio Neiwiller a Napoli Davide De Sanctis Davide De Sanctis, napoletano, studia scienze politiche a Roma .. ♦ Si sono svolte a Napoli al Suor Orsola Benincasa una serie di manifestazioni in ricordo di Antonio Neiwiller e della sua opera. Antonio Neiwiller c'è. In un percorso spaziale fatto di segni, il tempo si dilegua nelle molteplici definizioni che la poesia riesce a darne (Enzo Moscato legge, di Neiwiller, Non ho tempo e serve tempo) e il suo valore viene continuamente ponderato dalla soggettività dell'ispirazione. Così il pubblico che la bambina Morgana accompagna per le scale, scalino dopo scalino, avanza nello spazio, ma abbandona la relazione tra questo e il suo orologio, calandosi in una dimenisone temporale interiore a cui lo chiama il testo e che accompagna la salita delle scale antiche. Non a caso il laboratorio neiwilleriano messo su da Mario Manone e Loredana Putignani sceglie per sé uno spazio definito da luoghi in cui il tempo è trascorso tutt'altro che uniformemente. Ora è museo: vetrina in cui del tempo passato si espone il cadavere delle cose J?IÙ belle; ora è giardino: dove 11tempo biologico impercettibilmente matura nelle aiuole e sui muri; ora sono camere ripostiglio dove il tempo si accumula in strade di polvere sopra rottami e macerie, le macerie infatti sono protagoniste del grande falò (il tempo che si brucia e si divora) che gli "esuli", i "nomadi" attizzano per indicare un percorso, per segnare soste del viaggio all'interno di un'opera: macerie anche come cifra di un mondo che "l'altro sguardo" sa lasciarsi alle spalle. La cittadella del Suor Orsola Benincasa è stata vista dagli amici di Antonio come luogo ideale per il necessario smarrimento interiore che l'opera di Neiwiller non manca di suscitare. È qui, dentro Napoli, ma fuori della sua convulsa temporalità che gli amici-artisti d1 Neiwiller hanno fatto istallazioni (Mauro Felci, Patrizio Esposito, Giulio Ceraldi, Salvatore T, Oreste Zevola), hanno recitato (Enzo Moscato, Leo De Berardinis, ma anche il "Teatro delle ombre") e suonato (Stev e Lacy con Jean-Jacques Avene! e Steve Potts), hanno sparso segni anche nascosti (Giancarlo Savino) o abbandonati al vento (Mimmo Paladino). Si parlava di laboratorio neiwilleriano per descrivere ciò che è successo nelle giornate napoletane dal 9, data del compleanno ma anche della rinascita di Neiwiller, al 12 marzo. Rinascita, perché il suo essere vivo nelle opere si sostanzia in una presenza quasi fisica, dando all'atmosfera un sapore di vissuto. La sensazione che si ha, guardandosi tra scale e corridoi, tra vecchie stanze e giardini è che il luogo sia abitato da un numero imprecisato di persone, ma soprattutto dallo stesso Neiwiller che quasi esce fuori dalle proiezioni murali, dalle foto, dalle carte, per accompagnarci nella sua dimora di ricordi di fotosrafie di appunti di disegni di amici; ci porta perfino nel suo archivio, in una stanza remota, dove gran parte del suo lavoro è conservato con cura in cassette e cartelle dove solo lui sarebbe in grado di mettere le mani. Scopriamo e ritroviamo così le passioni che lo fecero riflettere e sognare: Majakovskij, Klee, Tarkovskij, Kantor, Pasolini, Pessoa. Passiamo addirittura in mezzo al suo teatro liberato da scena e palcoscenico, dentro il suo spazio rappresentativo. Ci immettiamo con le fotografie di Antonio Biasiucci e Cesare Accetta nel flusso ininterrotto del suo lavoro di attore-autore fatto di rappresentazioni tutte simili come lui voleva che fossero. Visitare Antonio Neiwiller vuol dire, naturalmente, incontrare la sua arte nelle form.e della pittura della poesia della filosofia metabolizzate tutte nella sua visione di teatro totale, ma significa anche e soprattutto incontrarlo nella sua vita risolta nell'arte. Egli così rappresenta sulla scena e fuori il dramma e la tensione della vocazione, il rifiuto di ogni finzione: anzi la scena è il luogo dove si è più veri che mai, dove le passioni e i drammi, la coscienza e i dolori prendono forma cercando prepotentemente di uscire da quel grosso suo corpo deformandogli il viso inaspettatamente. I gesti e gli oggetti perdono i significati che il senso comune gli dà, per essere sulla scena nella loro naturalità necessaria. Gesti oggetti luci e suoni sono necessari in quanto sono, esistono in relazione tra loro, in rapJ?0rto con l'uomo, con l'artista. L'artista funziona come una lampadina, qualsiasi cosa viene incanalata nel flusso, esaminata dai sensi e passata nella resistenza molto stretta della sua interiorità e creatività: l'attrito di tutte le cose fa accendere l'artista che le illumina rendendole visibili agli altri. Dai racconti degli amici si capisce questo del carattere di Antonio, della sua personalità: egli era capace di accendere gli altri, di farli diventare e sentire artisti. Fondava delle comunità-labortorio nelle quali si viveva assieme, si parlava, si sognava, si soffriva, in definitiva si produceva arte fuori e dentro. Così i suoi amici imparavano ad amarlo amando prima se stessi. Uomo di buona cultura, si trovava a suo agio soprattutto con le persone più autentiche e incontaminate, dalle quali imparava e alle quali insegnava. Sono loro, 1 suoi amici, l'opera che forse più di ogni altra, testimonia la sua arte. Egli era un umile, dicono, un carattere radicale, però: non cedeva a compromessi e ripiegamenti, ma era un animo solare che amava l'autenticità. Non era sensibile al richiamo del successo, ma amava l'attenzione del pubblico. Trascurato e incompreso, egli continuava per la sua strada, ché forse non ne conosceva altre. ARTEEPARTE
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==