La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 14 - aprile 1996

TEATRO La distanza dalla tragedia. L'Orestea della Raffaello Sanzio Gennaro Carillo Gennaro Cari/lo lavora presso il Suor Orsola Benincasa di Napoli e scrive sul "Mattino". ♦ È teatro della distanza qu est' Orestea della Socìetas Raffaello Sanzio. La distanza da Eschilo, innanzitutto: "Non leggere l'Orestea. Non è roba tua", appunta Castellucci. La distanza dal pubblico: una sorta di tenda a ossigeno separa gli attori dalla platea. Dall'alto spuntano tubi, respiratori, boccagli di varia fattura e misura. La sensazione sonora, oltre che visiva, più forte è che la prima urgenza dei figuranti sia il respirare, il poter continuare ad essere. Nulla cospira a sedurre il pubblico. Non la lingua, che è per lo più quella delle traduzioni di Savino e Valgimigli, desueta, arcaicizzante, lontana dai codici della comunicazione. Non la voce, sempre distorta da interferenze elettriche. E nemmeno il suono, che mescola i rumori della forgia - o dell'altoforno - di Efesto a colpi di mortaio e di contraerei, a lontane esplosioni, alludendo così alla decennale guerra di Troia. La distanza dalla tragedia la Raffaello Sanzio fa del modello eschileo una commedia organica, porosa, nelle cui pieghe si insinuano altri corpi, nuovi umori: ecco che il Corifeo diventa un enorme coniglio ed evoca il gioco, l'Alice di Lewis Carroll, la linea di fuga, lo spiazzamento del tragico. Organica è dunque la commedia in cui le identità e le forme non hanno fissità ma si dilatano, si slabbrano come accade, in pittura, ai volti espansi di Francis Bacon.La distanza dalla commedia : quando Eschilo dice che i muri grondano di sangue - e parla dei muri che cingono l' hestia, il focolare domestico - a parlare non è un cyberpunk ma null'altro che un tragico. Rispetto alla liturgia di sangue eschilea la Raffaello Sanzio è come se talvolARTE E PARTE t.. prendesse le distanze dalla distanza, rimettendo in causa le forze più tremende e costitutive del tragico. Non per un compiacimento splatter ma, all'opposto, per una fedeltà all'oggetto del tradimento, al sangue che è l'effige più significante di quel mondo infero. Quando entra in scena, verso la fine, Apollo, un attore senza braccia, in gioco è l' esattezza della rappresentazione del dio, l'estrema coerenza della bellezza greca. Alveare Così può essere detto il palazzo in cui ha luogo la vicenda dell'Agamennone e delle Coefore, le prime due tragedie della trilogia eschilea. La dominante è femminile. La femmina, Clitennestra, si rivela stanziale e produttiva. Sta, permane, incarna l'hestia, come ha notato Vernant in uno scritto sulla spazialità greca.La cifra del maschio, della regalità maschile è, invece, la guerra. Per vincerla, Agammenone, come è noto, arriva a sacrificare sua figlia Ifigenia. Queste le due masse etiche dell'Orestea, rese dalla Raffaello Sanzio con i suoni delle officine e delle bombe. Eppure, nella polarità ClitennestraAgamennone proprio i suoni introducono elementi di ambiguità: sono, i rumori del costruire, del modellare e dell'uccidere, singolarmente simili, spesso identici. Con una scrittura di scena tra le più necessarie e ardite di questi anni, la Raffaello Sanzio ha colto il cuore del problema tragico senza ricorrere alle parole della tragedia ma unicamente alle sue masse sonore, agli umori, alla carne "eloquente" degli assasinati. E quale verità svela questa carne insepolta se non l'assoluta distinzione tra le ragioni e i torti_,~ra la giust~ e l'ingiusta ucc1s10ne ? Tutti sono colpevoli, nessuno escluso : questo dice l'Orestea. L'artigiana Clitennestra al pari del guerriero Agammennone. Non è invocabile, diversamente da altre tragedie, uno schema che identifichi il giusto e induca a parteggiare per lui. Né l'Orestea è l'Anti.g-one dove è facile intuire che il vero sconfitto, nella rappresentazione del pubblico, sarà Creante. Tutto questo rende la trilogia eschilea particolarmente congeniale a chi, come la Raf:: faello Sanzio, intenda scardinarne ripetutamente il senso e la trama, fino a rendere i figuranti prossimi a clown e il rituale simile a una gag estenuata, rattristante commedia degli equivoci. Ma un'altra uccisione spezza anche quest'ordine. È la scena di Oreste redivivo davanti a Clitennestra, sua madre, assassina di A$amennone. Il figlio esita pnma della vendetta, poi indossa un braccio pneumatico e si confida con Pilade. Per qualche minuto il braccio pulsa; un secondo cuore muove al matricidio come riflesso condizionato di un figlio che non agendo è agito dal destino: mirabile macchina teatrale che fa dell'indecisione di Oreste un Amleto ante litteram e di Pilade un Orazio (la Raffaello Sanzio nel 1992 ha allestito un Amleto o la veemente esteriorità della morte di un mollusco da Shakespeare e Saxo Gramaticus ): ennesimo ritorno del tragico attraverso un lungo istante di sospensione di giudizio, di abbandono a forze, a dismisure non umane. E quando Cassandra - per restare in tema di macchme teatrali - entra in scena 2ressurizzata in un cubo di ferrro e plexiglass e qui viene centrifugata (nei Persiani Eschilo compara il massacro dei persiani da parte dei greci a Siamina alla mattanza dei tonni nella tonnara, definita camera della morte ), in una mescolanza di voce, profezia, sangue, la memoria corre a una oservazione di Gilles Deleuze sull'affinità tra Bacon e Antonin Artaud. Quel Deleuze che aveva immaginato, come Castellucci, delle scimmie per il coro delle Eumenidi, assolutrici di Oreste, e che avrebbe probabilmente amato senza condizioni la dura esattezz~ di questa commedia orgamca. ♦

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