La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 14 - aprile 1996

derno sono sotterranee: la metropolitana e il drenaggio profondo. Il sottosuolo è la nostra ultima frontiera. Durante il suo soggiorno in Messico, Humboldt rifletté sulla polemica tra nettunisti e vulcanisti. I minerali hanno origine dai detriti depositati dal mare o dal magma incandescente del centro della terra? In un paesaggio dominato dai vulcani, non stupisce che si propenda per la seconda ipotesi. Esiste una causa tellurica, un'attrazione all'origine che spiega la nostra lotta contro l'acqua e contro l'ana? In Messico la parte bassa di un edificio si risolve sempre in un'archeologia secondaria; le fondamenta, le linee telefoniche, il drenaggio, devono schivare la città azteca sommersa. Costruire verso il basso tuttavia non implica solamente la possibilità di imbattersi accidentalmente nelle gradinate di una piramide, bensì il contatto con un ordine simbolico. Nel suo saggio Miti Preispanici Enrique Florescano scrive: "l'idea che l'interno della terra contenesse una caverna dove si accumulavano gli ·alimenti essenziali e si rigenerava la vita, è la concezione dominante de, miti mesoamericani della creazione". L'espressione di Guillermo Bonfil Batalla, "Messico profondo", ha un'applicazione letterale; sotto terra stanno sia i morti che le origini; le principali leggende del mondo indigeno (Queztalcoatl, i gemelli prodigiosi del Popol Vuh) narrano viaggi nell'aldilà. Nel 1994 i discendenti delle Sette Caverne vivono in un paesaggio caratterizzato dagli spostamenti. Secondo Paul Virilio, la vitalità della città postmoderna si calcola nella misura in cui il tempo sconfigge lo spazio; la princi~ale sfida non è l'edificazione, bensì la velocità. In una città che è cresciuta contro l'acqua e l'aria, i cui meccanismi basilari sono l'espansione e il movimento e il cui orizzonte è il sottosuolo - il futuro verso l'origine - non esiste mi&lior forma di definizione se non la metropolitana. La città e i leoni In Messico ogni confine è simbolico. Il Deserto dei Leoni denomina in maniera appropriata uno dei confini della città. Non è un deserto e non ci sono leoni. Probabilmente il nome si riferisce a un luogo spopolato un tempo frequentato dai puma, la figura del leone ricorda ,tuttavia le mappe antiche, dove un robusto Eolo indica la direzione dei venti e una dicitura latina la fine del mondo conosciuto: Hic sunt leones (Qui ci sono i leoni). La figura del leone è servita a simbolizzare ciò che non si conosce e anche ciò che si conosce ma non si accetta. In Los indios de Mèxico Fernando Benftez fa notare che nelle mappe coloniali la dicitura Hic sunt leones poteva indicare il territorio degli indios. Il leone come confine razziale ha portato anche al blues. Il programma radiofonico di Alain Derbez, Questo treno non porta leoni, deve il suo titolo a un pezzo sulla segregazione razziale. Nel corso del tempo il leone ha indicato i confini di un luogo o di una cultura. Non è dunque strano che gli si consacri una stazione della metropolitana messicana. Chi scende a Etio~ia avrà modo di vedere i reticoli di pietra, formato polaroid, nei quali è ripetuta, insaziabilmente, l'immagine della fiera. Prima di tornare al leone è necessario esplorare le reti sotterranee. Nel saggio UPIANETA TERRA Bahn als U-Topie (La metropolitana come utopia), il filosofo russo-tedesco Boris Groys riflette sulla metropolitana di Mosca, che nell'immaginario sovietico ha svolto un ruolo piuttosto simile a quello del Sistema di Trasporto Collettivo, d1Città del Messico. Lo stalinismo, incapace di realizzare l'utopia egualitaria, mise in funzione una grande mdustria della simulazione. A ogni giro di vite dichiarava che gli ideali dell'Ottobre si erano compiuti. Uno dei suoi più efficaci meccanismi compensatori fu la metropolitana di Mosca: l'aurora rivoluzionaria era elettrica e rimaneva sottoterra. Utopia significa: "questo luogo non esiste"; i suoi inventori sono dunque obbligati a trovare soluzioni di compromesso, zone intermedie. "La strategia adeguata nella costruzione delle utopie - scrive Groys - consiste nel trovare un luogo disabitato, e preferibilmente inabitabile, in un contesto abitato". I progetti dei disurbanisti russi degli inizi del secolo, fallirono per la loro assoluta irrealtà. Alla città selvatica opponevano una città nello spazio esteriore, case mobili, baracche che si spostavano a un ritmo di nuoto ... La metropolitana invece, soddisfa in piena terra numerosi requisiti utopici: il suo procedere è illimitato, dipende totalmente da un ordine superiore, è uno spazio sotto controllo, dove il passeggero vede frammenti della costruzione e dove il paesaggio generale rimane nelle tenebre. "Sebbene il trasporto sotterraneo appartenga alla realtà della metropoli, continua a conservare un carattere fantastico; la sua totalità può essere concepita ma mai sperimentata". Queste caratteristiche sono comuni a tutte le metropolitane, ciò che distingue quella di Mosca è la sua capacità di confondere il tempo. Nelle sue gallerie, i ritratti del realismo socialista hanno convissuto con lo splendore imperiale dei marmi e dei lucernari, con le fastose facciate islamiche, romane, rinascimentali, con i vesti~i dei proletari e l'austero futurismo dei vagoni. Quasi tutte le utopie della fantascienza concepiscono il tempo in forma lineare; i loro paesaggi non convincono perché sono troppo nuovi. La vera utopia rifugge i tempi conosciuti. Secondo Salman Rushdie questo è il principale merito del film Brazil, le cui ambientazioni suggeriscono un futuro invecchiato; le macchine da scrivere e gli abiti sono più vecchi dei nostri e questo gli conferisce una strana verosimiglianza; l'avvenire è più credibile se è usato. Nel riprodurre un' epoca impossibile, la metropolitana di Mosca rafforza la sua condizione utopistica; tuttavia, si avvicina di più alla cupa fantasia di Orwell che a quella d1 Tommaso Moro; la sua efficiente alterità spaziotemporale è repressiva. "La massa non sembra approfittare del lusso che le offre il metrò. Non vuole e non può godere dell'arte, apprezzare la finezza dei materiali, decifrare la simbologia ideologica. Attraversa le innumerevoli stanze del tesoro, sorda, cieca e indifferente. La metropolitana non è il paradiso della contemplazione immobile ma l'inferno del movimento perpetuo". Questa, naturalmente, è la versione di Groys, di qualcuno al di fuori del sistema. Dal di dentro la metropolitana suscita uno stupore privo di attrito, è il luogo dove i cittadini non possono

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