mediatico' e ha detto che la sfera politica è passata dalla parte dei media eccetera. Ritengo sia un'analisi un po' troppo apocalittica. Non è una situazione così pericolosa e infatti abbiamo 'visto che questo colpo di stato mediatico non è riuscito a trasformarsi in un vero colpo di stato politico, non ha potuto prendere il potere politico. Il potere dei media non si trasforma così facilmente in potere politico e abbiamo visto che Berlusconi non è riuscito a trasformare la meta, come si dice nel rugby. Il sistema dei media fa parte dei nostri discorsi, dei nostri miti e perché no delle nostre paure. Ma non dico ciò per salvare il politico perché invece ritengo che non ci sia più sostanza nella politica. Tuttavia non bisogna concedere al sistema dei media una egemonia che non ha. Quando esso va al potere rivela che il potere non è niente. Anche il potere dei media non ha grande spazio di azione, non sa come esercitarsi; il vero problema oggi è che non sappiamo più cos'è il potere ed è irrilevante che parliamo di potere politico o economico. Possiamo anche usare la formula 'prendere il potere', ma che vuol dire? Che ci facciamo col potere? Oggi è chiaro che a ciò che chiamiamo pote re non corrisponde una realtà precisa. In questo senso non possiamo dire che i media sono i nuovi padroni del mondo." ♦ CINEMA Da Las Vegas a Palermo. A proposito di "Casinò" Roberto Alajm? Tutto sommato non sono state trionfali le accoglienze di pubblico e critica per l'ultimo film di Martin Scorsese. Nella maggior parte dei casi hanno oscillato nella gamma compresa tra "omaggio al maestro che sbaglia" e aperta insofferenza. Per cercare di capire il perché di tali reazioni nei confronti di Casinò conviene partire dall'ipotesi più estrema, quella dello spettatore che lascia la sala a metà proiezione. Scavando nelle motivazioni più rozze ("Tre ore! Troppo violento! Non si capisce niente!") si può arrivare a comprendere anche il rige~to più intellettualmente motivato. Il fatto è che Casinò è un film mai volgare ma interamente ispirato alla volgarità. In particolare alla volgarità del denaro e agli effetti degenerativi che il ruolo del denaro nella società contemporanea rende particolarmente inevitabili. Uno schermo che si riempie fin da subito e con inedita insistenza di monete, banconote, ori e gioielli è precisamente quello che lo spettatore inavvertito ,!?rima e la critica poi hanno (inconsciamente) rifiutato. Lo specchio in cui lo spettatore statunitense prima e quello europeo poi hanno aécettato di guardarsi. Si può accettare una rappresentazione volgare della volgarità. Ma fare del moralismo sulla volgarità è sembrato francamente inaccettabile. Un punto chiave sono i costumi. In Casinò gli abiti dei protagonisti non sono mai puramente rossi o gialli o verdi o azzurri. E nemmeno la variante cromatica elettrica basta a esaurire la loro carica eversiva: i colori impossibili si sovrappongono per tonalità e genere di tessuto. Colori, scarpe di serpente, cravatte di cuoio potrebbero far credere di trovarsi in una pellicola di Almodovar. Ma l'idea di Scorsese consiste nell'applicare i colori di Almodovar a un impianto tutto sommato realistico. È questo cortocircuito che genera nel pubblico il rifiuto. Lo spettatore non vuole riconoscere i colori del manierismo statunitense come i colori della propria esistenza. È lo stesso pregiudizio che grava ancora oggi sulla pittura dell'età di Pontorno. Tutto sommato Casinò poteva essere girato da Brian De Palma e risultare più calligrafico ed esplicito nel suo manierismo. In questo caso probabilmente sarebbe passato nella coscienza comune con minori difficoltà, e il film sarebbe stato giudicato per le sue qualità cinematografiche specifiche. Pensato da Scorsese è invece un film moralmente impegnativo, una finestra su un cortile della nostra vita che mai vorremmo mostrare agli ospiti. (La nostra vita di oggi e quella di domani, se si considera l'apocalisse finale nella città dei divertimenti). In altre parole il tema del film è l'accumulazione della roba da Verga alla mafia italoamericana. In mezzo ci sono cento anni di storia durante i quali si è praticata in Occidente la sistematica dispersione della cultura contadina, vale a dire di ciò che rendeva almeno umana l'accumulazione della roba. Caduti gli alibi culturali l'accumulazione è diventata (ed è in Casinò) una pura corsa alla sopraffazione. Una corsa che è di per sé cruenta. Le esplosioni di violenza che costellano il film fino alla mattanza e alla catarsi finale del protagonista sono anch'esse morali, mai generiche e sempre strettamente connesse con l'andamento del film. La vertigine del gioco ARTEEPARTE
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