attori cantano secondo il "modo dorico", su una scala pentatonica, e recitano in modo quasi astratto, con gesti rarefatti e simbolici. Straub ne rimase sconvolto, mi prese come aiutoregista e cambiò modo di girare tanto che poi volle fare un film, Dalla nube alla resistenza, proprio a Buti e con gli stessi "attori" che avevo usato io. Nelle cose degli Straub c'è sempre una specie di distanza, di gelo. Nelle tue c'è un'intensità, un amore particolare per questo mondo contadino. Guarda, per quest'ultimo film da quattro mesi ogni venerdì vado in Maremma, a provare con i contadini che reciteranno nel film. Del resto, devono muoversi nel loro spazio, andare a cavallo, agire; non posso mica prendere un cittadino e catapultarlo là. La classe non è acqua. Se uno è un contadino lo si vede, da come prende in mano un bicchiere, da come taglia una mela. E siccome in questo film i gesti sono più importanti delle parole, non potevo fare altrimenti. Tiburzi è anche un film su un paesaggio (dopo Confortorio avevo voglia di uscire all'aria aperta) e sul cinema, sul mio amore per il cinema. È come diviso in tre atti: il primo molto parlato, il secondo mezzo e mezzo, il terzo completamente muto. E quindi grande valore ai gesti, al paesaggio, alla luce. E al suono: c'è un gran lavoro sulla profondità del suono. Sempre senza apparecchiature particolari, no? Un normalissimo microfono e un registratore, punto e basta. Il cinema si fa col cervello. E devi amare quello che filmi, perché filmando devi esprimere il tuo amore per le cose, le persone. Sennò il tuo film farà schifo. ♦ ARTEEPARTE MEDIA La moglie del "Corriere" FedericaBellicanta Nonostante la crisi, i bilanci in rosso e la guerra a colpi di gadget per accaparrarsi nuovi lettori, l'industria editoriale italiana in questi ultimi tempi ha dimostrato una strana vitalità. Anzi, visti i risultati, è forse meglio parlare di un vitalismo indotto artificialmente e studiato a tavolino, quasi per scongiurare la lenta agonia nella quale sembra essere entrato ormai da tempo il giornalismo italiano. Per far concorrenza a quelli di "Repubblica" e del "Corriere della sera", anche la "Stampa" si è dotata di un elegante inserto settimanale - "Specchio" - ancor più patinato, corposo in termini di pagine e ricco di fotografie dei suoi ormai navigati precursori. Ma le novità non si fermano qui. Pure il "Corriere della sera" ha voluto stupire i suoi lettori andan.- do ad aggiungere a "Sette", l'inserto in edicola il giovedì, un altro settimanale che, novità delle novità, punta a un target, come si dice nel gergo del marketing, inedito per un giornale serioso e tradizionalista quale vuole apparire il quotidiano diretto da Paolo Mieli. Si tratta di "Io donna", in edicola tutti i sabati a sole 2000 lire insieme al "Corriere", e pensato apposta per un pubblico femminile. Vogliamo _parlareproprio di questa imziativa editoriale, degna di nota non perché proponga dei contenuti o degli spunti innovativi - anzi, tutt'altro - ma piuttosto perché conferma delle tendenze a cui pure il prestigioso "Corriere della sera" si accoda senza battere ciglio. «private » I settimanali femminili una volta si chiamavano "Confidenze", "Intimità" o al massimo "Bella", "Grazia", "Amica". Con questi nomi così remissivi e sottotono, evocavano atmosfere domestiche, leggiadri quadretti familiari in cui, tra i figli e il marito, la donna riusciva pure a trovare la mezzora eer "evadere" dalla routine domestica e leggere una rivista scritta apposta per lei. Ci trovavi il racconto o il romanzo rosa a puntate, i pettegolezzi sui famosi di turno, la storia vera patetica e commovente. Ma soprattutto, fino a pochi anni fa, tutti i settimanali femminili avevano una parte cospicua dedicata al "fai da te": c'erano le istruzioni per confezionare un golf a maglia, le indicazioni "passo passo" per cucire la ~onna che tutte desideravano mdossare, c'era la ricetta tradizionale per sfornare l'unica, vera e autentica torta di mele e le indicazioni per ricamare gli asciugamani a punto croce. La figura di donna che usciva da queste riviste, anche se il '68 era già passato da qualche anno, era quella solita della casalinga-ape operosa o comunque d1 colei che magari lavorava pure fuori casa, ma esprimeva compiutamente la propria identità femminile solo tra le mure domestiche. Naturalmente questo ritrattino pacificato e casalingo è stato aggiornato, seppure in ritardo, dai nuovi periodici rosa o da quelli vecchi, opportunamente adeguati alle mutate esigenze di un pubblico che trascorre sempre più tempo fuori casa e ha perso quasi completamente l'antica familiarità con il ricamo o con l'uncinetto. L'evoluzione di periodici femminili apparteneva, fino a ieri, alla storia del costume piuttosto che a quella del giornalismo. L'ultimo volume della monumentale storia del giornalismo curata da Valerio Castro novo e Nicola Tranfaglia separa nettamente i settimanali del tipo "Espresso" e "Panorama" dalla stampa femminile, il cui "messaggio principale", si scrive, è "pubblicitario", per-
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