MEDIA Telepoli, la citta' delle elezioni PiergiorgioGiacchè Finalmente tutti sanno che cos'è la politica. È l'arte di costruire "poli". Certo, se ci si fermasse a due si otterrebbe il bipolarismo perfetto, a immagme e somiglianza di questo nostro meraviglioso mondo, ma non si può avere tutto e subito. E però, cedendo un Nizza e Savoja alla Lega e regalando una rete televisiva a Pannella, chissà che non si possa raggiungere prima la mèta? Intanto i due poli maggiori ce l'hanno messa tutta per essere in sé e per sé "perfetti", anche se l'uno ha puntato sulla compattezza d1 un organigramma aziendale e l'altro su Ila costruzione di un programma plurale, persino intrattenendo con i temibili comunisti un patto di desistenza e con la compag\n~ g<?vernativa un patto d1 1ns1stenza. Non sono ancora i soli due poli, è vero, ma hanno ormai raggiunto una perfetta specularità, tanto da arrivare a copiarsi l'un l'altro il compito in classe (dopo essersi stipati nella stessa classe), in modo da prendere lo stesso voto. Lo stesso in termini di quantità (gli ininterrotti sondaggi continuano a darli felicemente alla pari), ma soprattutto ìn termini di qualità (se la parola non è esagerata), dato che la loro campagna pubblicitaria e il loro prodotto è destinato al cittadino medio, moderato, meglio se indeciso e dunque ovviamente di centro. Quel centro che nella loro fantasia raccoglie la massa dei teleutenti, la palude dei benpensanti, l'esercito degli ignavi di cui si vuole abitato il nostro e ogni altro paese. Quel centro dove non risiede più la maggioranza, ma la totalità degli elettori, se è vero - come giurano entrambi i tre poli - che è al centro che risiedono perfino i voti bianchi e nulli e gli astenuti (come sarà poi possibile che un elettore di centro non sia riuscito a votare, è un mistero, vista la infinita gamma di partiti e candidati che ha a disposizione!). Così non solo il programma è uguale per tutti, ma anche i candidati dovranno sembrare identici. Intanto identici a prima, giacché non sono state rare le conferme politicamente motivate dalla brevità della precedente legislatura, ma poi anche il più possibile identici fra loro: la consegna non è infatti quella di dover piacere a qualcuno, ma soltanto di non dispiacere o non sfi~urare al centro. Del resto, il nschio nello scegliere qualcuno soltanto un po' più chiassoso nel parlare o nel vestire, non è solo quello di perdere voti, ma quello che si perda addirittura il candidato: non sarebbe il primo che solo perché "bello nei capelli" si monta la testa e si mette in proprio. Sembrerebbe allora che la par condicio sia pleonastica, vista la sostanziale omogeneità e interscambiabilità dei prodotti. Ma invece è l'unica norma che permette al consumatore di distinguere un candidato dall'altro: essendo tutti più bianchi di Bianco e tutti decisi a raccogliere l'eredità di una Dc che non è mai stata così rimpianta e così rimpiazzata, come farebbe il telespettatore-e letto re a rendersi conto del passaggio da un polo all'altro, senza la pedante scansione cronometrica del tempo a disposizione? Si dirà che nei «faccia a faccia» si riconoscono appunto le facce, ma se ci si spinge al di là dei leaders più telegenici e più noti, come districarsi nel mare della esasperata e finanche bulgara uguaglianza? E per ~uesto che il ruolo dei giornalisti e dei conduttori televisivi si è ingigantito fino a diventare ricattatorio: solo loro, con continue istruzioni per l'uso, con gli involontari ammiccamenti e levolonterose imparzialità di trattamento, ci permettono di seguire l'incontro come fosse uno scontro. Solo loro, aumentando progressivamente il ritmo (incalzando con i "presto, che è tardi!") e aggiungendo colore e calore (ricorrendo a locuzioni come "si sta entrando nel vivo" "si fa incandescente" "il giallo si infittisce" ..), riescono a darci la sensazione di essere per davvero in campagna elettorale. Fra tutti, Funari è ancora una volta il migliore: la sua trasmissione combina insieme decine di politici - ciascuno abbinato ad una majorette che riesce a rendere attraente persino lo stemma dei popolari - con una platea alla Iva Zanicchi e un collegamento in esterni alla Michele Santoro. Certo, raramente si scatena una spettacolare bagarre, ma l'obiettivo di far apparire la politica come una babilonia incomprensibile e inaffidabile è comunque sempre raggiunto. In quella, l'unica cosa che si rende visibile sono appunto i due poli separati da uno steccato, e intervallati da un recinto riservato alla Lega. A seguire l'intera trasmissione, non si può evitare di pensare che nei poli abitino tutto sommato dei polli: il conduttore è difatti palesemente agricolo e il programma ha l'ambizione dichiarata di risultare ruspante. Anche per questo vi sono ospitati candidati magari di rango ma non di fama, di quelli a cui non deve importare gran che la distruzione totale della loro dignità purché si guadagni una quota di notorietà. E non importa se, proprio come per l'esposizione fotografica, più è lungo il tempo e più si sbiadisce il ritratto: è ormai finito il culto dell'immagine e si è di nuovo tornati dall'apparire ali' esserci! Un esserci purchessìa, del tipo "almeno una volta c'ero anch'io", sufficiente a togliere il candidato dall'anonimato e dunque a far scattare - nel suo collegio - una motivazione di voto in più, quella che fa la differenza: "dev'essere un tizio importante, è passato in una rete tivvù nazionale". La differenza è però davvero minima, e di nessun valore politico se è vero che tutti, teleastanti e teleutenti, sono per davvero "rappresentati" dal conduttore di turno: persino i politici ospiti sanno di essere riassunti nel carisma e sostenuti dalla popolarità
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