funzionare, e riconosce l'errore; ma ha subito pronta un'altra scheda da calare nelle scuole con la medesima procedura. Credo che sia importante che noi qui affermiamo che in quanto insegnanti possediamo un sapere, il sapere che nasce dal fare il nostro mestiere e dal ragionarci sopra. Naturalmente la nostra categoria, come tutte le altre, è fatta di persone che lavorano bene e di persone che lavorano male, di persone serie e di persone poco serie. Ma le e gli insegnanti che sono venuti qui anche da molto lontano a loro spese, senza il miraggio di punteggi per far carriera, con l'unico scopo di confrontarsi tra loro, dimostrano di fare il loro mestiere con serietà e con passione, e magari anche con piacere, e con la convinzione che valga la pena di farlo. È a questo tipo di insegnanti che bisognerebbe chiedere prima di tutto di ragionare sul valutare, di elaborare strumenti efficaci. Da questa considerazione, che conclude il secondo punto del mio intervento, scaturisce anche il primo dei tre suggerimenti che vorrei proporre per il dibattito. E' un problema che potremmo definire di "politica scolastica": siamo proprio sicuri che sia necessario che dalle Alpi alla Sicilia tutte le scuole italiane adottino identici strumenti valutativi? Se le stesse risorse che il Ministero ha speso per diffondere a tappeto le nuove schede, per organizzare i corsi d'aggiornamento, ecc., fossero state utilizzate per una "campagna sulla valutazione", orientata a far proporre dagli insegnanti diverse forme di valutazione e a promuovere il dibattito e il confronto su questo tema, probabilmente i risultati sarebbero stati meno sconfortanti, e si sarebbe mosso un primo passo verso un'autentica intersoggettività dei processi valutativi. Anche perché 11 nostro non è un mestiere che si possa far bene controvoglia. Se il mio lavoro consistesse nel timbrare delle carte e se un superiore mi dicesse: devi mettere dieci timbri di più al giorno altrimenti ti licenzio, potrebbe darsi che, mettendocela tutta, io ci riuscirei. Ma il nostro mestiere è diverso: possono obbligarci a riempire moduli, a fare riunioni inutili, ma non a modellare il nostro rapporto con gli studenti su procedure e strumenti che non ci convincono. E notate che i pochi colleghi che rivendicano la validità dei nuovi strumenti di valutazione, li elogiano perché, a loro dire, avrebbero obbligato gli insegnanti ad utilizzare procedure più rigorose. Personalmente non credo che un insegnante obbligato possa essere un insegnante più bravo. Purtroppo o per fortuna, per ottenere che facciamo meglio il nostro mestiere, bisogna passare attraverso il nostro consenso. Secondo spunto per il dibattito: valutazione e comunicazione. Nella scuola la valutazione si inquadra in una serie di processi co~ municativi. Chi sono i destinatari di questi processi? di volta in volta gli studenti, le famiglie, gli altri insegnanti della classe e della scuola, le autorità scolastiche. I documenti di valutazione che abbiamo per le mani presumono di rivolgersi a questi diversi destinatari con lo stesso linguaggio. Bisognerebbe invece pensare a coaici e anche a canali che siano adeguati di volta in volta allo scopo e agli .interlocutori: il messaggio è diverso se mi rivolgo a uno studente, al suo papà o alla sua mamma, ai miei colleghi e colleghe. Terzo e ultimo spunto: l'uguaglianza e la diversità. La valutazione classificatoria che ci ss:.J&.!di viene proposta dagli attuali strumenti valutativi concentra l'attenzione di insegnanti e studenti su quei campi dell'esperienza che ci rendono uguali, perché, se voglio classificare le prestazioni di un gruppo di persone, posso farlo soltanto in relazione a problemi che abbiano una e una sola soluzione, uguale per tutti. Ne possono scaturire due conseguenze opposte ma ugualmente nocive: o si lasciano ai margini del lavoro scolastico quei campi della conoscenza che ci rendono diversi per genere, estrazione sociale, cultura, scelte etiche e religiose, ecc.; e allora resta fuori dalla scuola la parte più importante dell'esperienza umana. Oppure il criterio classificatorio si applica anche a questo campo dell'esperienza, e allora si invade la privacy degli esseri umani che abbiamo di fronte presumendo di poterne misurare "oggettivamente" cose come la curiosità, l'impegno, l'autostima, lo spirito democratico. la formazione dell'identità personale (come viene richiesto dai Ql e dai 04 delle schede)2, con i risultati deleteri che è facile immaginare. Ecco allora l'ultima domanda che vorrei porre a voi e a me stesso: è possibile pensare a forme di valutazione che non banalizzino le persone riconducendole a un unico modello, ma che le aiutino a crescere nella loro diversità? Note 1 G.Armellini, La smania della valutazione, "La terra vista dalla luna", I, 2, marzo 1995; V.Cosentino, Scuola: la sarta e il computer, "Via Dogana", 19, novembre-dicembre 1994. 2 Nelle scuole superiori qualcosa di simile entrerà attraverso !"'area di progetto" degli istituti tecnici industriali, per la quale è stata elaborata dagli esperti del Ministero una scheda di valutazione che fra l'altro si propone di misurare, su cinque livelli (da moltiplicare per due per ottenere il voto su una scala decimale), i seguenti "indicatori" relativi a ciascuno/a studente: Impegno, Attenzione, Organizzazione, Tranquillità, Responsabilità, Flessibilità, Autonomia, Intraprendenza, Rapporti con gli altri, Solidarietà, Moderazione, Conoscenza di sé, Rispetto dell'ambiente. Come vuole la scienza pedagosica, per ciascun indicatore sono riportati gli appositi "descrittori". Per esempio per !?rendere 2 in "solidarietà" bisogna essere un tipacc10alla Franti: «Non offre spontanente la sua collaborazione; è eccessivamente geloso degli strumenti e dei prodotti del suo lavoro; ha un atteggiamento di distacco, se non di ostilità, nei confronti dei deboli e dei "diversi"». Il modello di chi vuole prendere 10 è invece una sintesi fra il santo, il gentleman, il philosophe e il gentiluomo rinascimentale: «Ha uno spiccato senso d'altruismo; prende a cuore le sorti dei suoi simili; ha un atteggiamento di squisita gradevolezza negli scambi interpersonali». I descrittori della "Tranquillità", della "Moderazione" e della "Coscienza di sé» non sono meno esilaranti. ♦
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