re come vediamo il mondo. È chiaro però che, se questa relazione ~i struttura fin dall'inizio come un rapporto di controllo unilaterale da parte dell'adulto nei confronti del ragazzo, la curiosità e il desiderio scompaiono rapidamente. Inutile dire che questa comunicazione mancata ha molto a che fare con l'attuale "disagio giovanile", e anche col disagio di noi adulti, che è l'altra faccia della stessa medaglia. Forse la nocività più grande del modello ufficiale dell'insegnamento e della valutazione consiste nell'ostacolo frapposto all'incontro fra senerazioni, cruciale in questo momento stonco, che si verifica soltanto nella scuola. Posso dunque concludere il primo punto dell'intervento con questa domanda: come pensare a forme di valutazione che per la loro qualità e quantità lascino ampio spazio all'imprevisto, a un autentico incontro fra le generazioni? Secondo punto: quale ruolo viene assegnato all'insegnante da questa idea della valutazione? I nuovi documenti di valutazione non si pongono soltanto come strumenti di controllo dell'insegnante sullo studente ma anche come strumenti di control.lo sull'insegnante. Un controllo che in realtà è del tutto illusorio, perché non verifica se un insegnante è bravo o no, se in classe si comporta bene o no, ma se ha compilato minuziosamente molti fogli di carta e quante cose ci ha scritto soera. Tutti noi conosciamo presidi e direttori didattici preoccupatissimi della compilazione dei documenti, perché è sui documenti che potrà essere valutata la puntualità e la validità della loro scuola; ma quello che facciamo veramente in classe sembra non interessare nessuno. Questo è un altro aspetto singolare del nostro tempo, che riguarda la scuola ma anche la sanità e altri servizi: sotto la bandiera dell'efficienza e della produttività avanza una burocratizzazione galoppante, che, anziché far funzionare meglio le istituzioni, le rende sempre più costipate e ingovernabili. Nell'incapacità di agire effettivamente sulla qualità del servizio scolastico, ci si concentra sull'elaborazione di meccanismi e procedure sempre più minuziose e macchinose che danno l'illusione del controllo ma non controllano assolutamente niente. Ciò che invece i nuovi strumenti di valutazione comunicano all'insegnante è una relazione gerarchica: tu incontri ogni giorno a scuola bambini e bambine, ragazzi e ragazze; tu ogni giorno ti dai da fare per insegnargli qualcosa, per valutare il loro apprendimento, eccetera. Ma non comeete a te costruire le teorie, i modelli e gli strumenti relativi a questo lavoro; devi limitarti ad applicare ciò che altri hanno elaborato per te. E chi sono questi altri? i componenti di un ceto buro-pedagogico che non frequenta bambini e ragazzi, non si misura quotidianamente con loro, ma presume di poter teorizzare sui loro modi d'essere e di imparare, ed è convinto di poter insegnare a insegnare agli insegnanti. «Quelli che insegnano pedagogia all'università - scrivevano i ragazzi d1 Barbiana - i ragazzi non hanno bisogno di guardarli in faccia. Li sanno a mente, come noi si sa le tabelline». Ne viene fuori un sapere libresco, verboso, autoritario, di stampo pre-galileiano, in cui la teoria presume di poter prescindere dall'esperienza quotidiana. Le cose vanno più o meno così. Nel chiuso di una stanza si elaborano in tutti i dettagli le schede di valutazione e si calano nelle scuole; se si scopre che non producono buoni risultati si dà la colpa all'impreparazione degli insegnanti e si elaborano prontuari, manuali, corsi d'aggiornamento che si traducono tra l'altro in un notevole business per i promotori. Poi magari un ministro si accorge che è proprio la scheda che non può
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