La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 14 - aprile 1996

vano, è stata emblematica. Qui, il nodo dello scontro rimane l'equilibrio tra istanze (visioni) di poteri diversi: quello dei governi nazionali (detentori delle scelte politiche sul futuro dell'Unione), quello della Commissione (che ha il potere di proposta delle leggi, della loro gestione, nonché di una vasta macchina burocratica), quello del Consiglio (che ratifica la legislazione), quello del Parlamento (che dovrebbe esprimere la sovranità popolare dei cittadini dell'Unione con leggi, atti politici di indirizzo, allocazione delle risorse ecc. e che invece le leggi le può solo emendare, modificando gli stanziamenti di bilancio). È proprio e ancora il Parlamento - cioè la rappresentanza diretta dei cittadini - a essere il soggetto più debole dell'insieme dei poteri dell'Unione. Il processo di unificazione parte dall'alto, non dal basso; dai governi, non dai parlamenti. La Conferenza di Torino ribadisce - di fatto - questa impostazione. La partecipazione, la sovranità popolare sono ancora la parte debole del processo europeo. Naturalmente l'omogeneità dei governi nazionali è ancora lontana dall'essere un tutto omogeneo. L'Unione Europea è ancora attraversata da rivalità nazionali e da interessi divergenti. Dare maggiori poteri al Parlamento Europeo significa ampliare la gamma della supremazia normativa sulle legislazioni nazionali e affiancare al meccanismo di rappresentanza intergovernativa quello parlamentare nei momenti decisionali del futuro cl ell 'Unione. Tecnicamente viene definito il potere di codecisione dell'Europarlamento. Se l'Europa vuole diventare non una superpotenza (economica e militare) o una somma di governi e .di potentati economici e finanziari transnazionali, è proprio sui poteri del Parlamento di Strasburgo che bisogna puntare. La democrazia e la sovranità sovranazionale sono i due pilastri dell'Europa, oltre Maastricht. La politica estera e della difesa Altra area su cui la revisione del Trattato di Maastricht deve mettere mano, cosa che la Conferenza di Torino ha cominciato a fare, è quella della politica estera e della diY..QCJ. fesa. La guerra in ex Jugoslavia ha evidenziato la debolezza e la fragilità di ua politica estera comune. Quando la Germania ha imposto - nonostante il parere contrario di molti altri paesi europei - il riconoscimento della secessione della Slovenia e della Croazi~, la politi~~ estera comune e andata grn come un castello di carta. Da un anno e mezzo la Pese (Politica Estera e di Sicurezza Comune) è in funzione, ma con scarsi risultati. In ex Jugoslavia, sono dovuti intervenire attivamente gli americani per arrivare a una pace (comunque precaria e incerta). Lo stesso è successo alcune settimane fa per bloccare l'escalation della tensione tra Grecia (membro dell'Unione) e Turchia (aspirante membro) provocando le ironie di Hollbrook (il mediatore di Dayton) sulle capa-. cità dell'Europa di intervenire positivamente sulle crisi al suo interno. Lo stesso accade per il Mediterraneo e il Medio Oriente, aree di interesse vitale per l'Eurol?a· Tanto che lo strumento d1 garanzia della sicurezza in queste aree nevralgiche è sempre più garantito dalla Nato che dall'Unione Europea Occidentale (U eo ), il braccio armato di cooperazione militare europea. In realtà l'Europa non avrebbe bisogno di diventare una nuova potenza militare (e soprattutto non dovrebbe farlo), ma di rafforzare gli strumenti multilaterali di prevenzione dei conflitti e di costruzione di una sicurezza comune paneuropea (con l'Osce, l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) e l'Onu. Il fallimento in ex Jugoslavia dell'Europa non è derivato dalla mancanza di uno strumento militare comune, ma dalf'inesistenza di una politica e di un progetto comune verso quell'area. Tra l'altro la costruzione di un Europa potenza militare entrerebbe in conflitto con gli Usa (che infatti la avversano) e in contraddizione con la Nato, nonché esarcerberebbe le tensioni con i paesi del Mediterraneo e con la Russia. Rinunciare esplicitamente all'uso dell'arma nucleare (che Francia e Gran Bretagna possiedono e cli.e vorrebbero socializzare con gli altri paesi dell'Unione), ridurre la spesa militare globale puntando sugli organismi internazionali per. la sicurezza dovrebbero essere le coordinate di una politica estera e della difesa ispirate ai valori della pace. Il coordinamento della politica estera spetta attualmente alle troike, ma forse l'istituzione di una specie di Segretario (sul modello di quello delle Nazioni Unite; potrebbe essere l'attuale figura istituzionale del Segretario del Consiglio) o Commissario unico per la politica estera potrebbe dare maggiore organicità e visibilità a questa esigenza di unitarietà di ruolo. Il prossimo appuntamento per i paesi europei è quello della seconda metà di giugno a Firenze. Si chiuderà allora la presidenza italiana del semestre europeo. La revisione di Maastricht non si chiuderà lì; probabilmente avrà come termine la prima metà del 1997. A Firenze ci sarà anche l'altrovertice delle associazioni e dei movimenti italiani ed europei per dare a una diversa idea di Europa un contenuto di proposte e prospettive fondate sulla cittadinanza, il sociale, i diritti e la pace. Finora, infatti, l'Europa la stanno costruendo i governi. Forse è il momento che i cittadini, i movimenti, le organizzazioni democratiche elaborino il loro progetto di un'altra Europa (secondo la formulazione che gli aveva dato Alex Langer), fondata sui valori di una società solidale e nonviolenta che tenga conto del futuro comune e non degli egoismi nazionali. ♦

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