La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 14 - aprile 1996

sorta di contraccolpo politico che ha rafforzato la consapevolezza dei pericoli connessi con il nazionalismo estremista, o anche solo con il nazionalismo non temperato dal razionalismo politico. I solenni funerali a Gerusalemme con la presenza di capi di stato e ministri del mondo arabo - anche di chi, come re Hussein di Giordania o il presidente egiziano Hosni Mubarak, non aveva mai potuto o voluto far visita alla capitale israeliana - hanno fornito agli israeliani le immagini di un paese che ha veramente rotto l'assedio politico e militare di un cinquantennio. Shimon Peres, la "colomba", il ministro degli esteri proiettato dall'attentato sulla poltrona del suo compagno-avversario di sempre, è sembrato a quel punto volare nei sondaggi. Quel che nel politichese italiano si potrebbe chiamare "l'effetto Berlinguer" si è tuttavia rapidamente esaurito, infrangendosi su un'ondata di attentati dell'ala militare di Hamas. Tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo, quattro terroristi-kamikaze hanno seminato la morte a Gerusalemme, a Tel Aviv e ad Ashkelon. Sugli autobus all'ora di punta, in un centro commerciale frequentato da giovani, a una fermata piena di militari. Si sono rivisti i religiosi che con pinze e buste di plastica andavano in cerca dei più piccoli pezzetti delle decine di corpi dilaniati dalle bombe. Si sono rivisti anche gli estremisti di destra che urlavano "a morte" al passaggio del primo ministro. Peres aveva convocato le elezioni anticipate cercando una legittimazione popolare per i suoi sforzi di pace sull'onda delle emozioni suscitate dall'assassinio di Rabin. Una scommessa che avrebbe dovuto consentirgli di portare a buon fine il difficile negoziato con la Siria, l'ultimo paese arabo che potrebbe _ancora rappresentare un pencolo concreto per Israele, e di affrontare da una posizione di forza la difficilissima partita dei negoziati con i palestinesi per l'assetto definitivo della regione. Gli attentati hanno rimesso in forse questa strategia. I laburisti sono precipitati di una decina di punti nei sondaggi e alla fine di marzo sembravano solo di pochissimo in vantaggio rispetto alla coalizione di destra del Likud, guidata da Benyamin Netanyahu. Costellando di cadaveri le strade delle città israeliane, Hamas è riuscito a far scattare nuovamente negli israeliani il riflesso condizionato della sicurezza a ogni costo, da garantirsi con ogni mezzo e - so_J?rattutto - da soli. La colpa principale degli accordi di Oslo - ha tuonato Netanyahu - è stata di affidare ad Arafat e ai suoi uomini la sicurezza delle aree affidate al loro controllo e quindi anche la sicurezza di Israele. La "colomba" Peres si è sentita costretta a indossare la cor~zza del suerriero. I_territon occupati sono stati nuovamente chiusi, il ritiro da Hebron è stato rimandato a data da destinarsi, le forze di sicur~zza h~nno ri_preso la repressione sistematica e generalizzata degli uomini d1 Hamas e delle loro famiglie ma, specialmente, Arafat è stato costretto a comportarsi nello stesso modo nei territori autonomi. Il leader palestinese ha accettato, per non perdere il contatto con il governo laburista, ma è dubbio che fenomeni di esaltazione nazionalistico-religiosa come quello rappresentato da Hamas possano essere definitivamente sconfitti in questo modo. L'unica strada per ridimensionarli - e sia Peres che Arafat lo sanno bene - è la continuazione e l'approfondimento del processo di pace. Un percorso che dimostri concretamente alle centinaia di migliaia di palestinesi diseredati che con la pace e la convivenza possono vivere meglio di prima. Il che vuol dire aiuti finanziari esterni (fino a questo m<?mento limit~ti) e l'\ntegraz10ne economica regionale. Attualmente, però, questa strada passa per il "posto di blocco" del voto israeliano. Dal risultato delle elezioni dipende molto, ma - sia chiaro - non il ritorno allo status quo ante. Nonostante che l'estrema destra spinga per la cancellazione pura e semplice dei trattati di Oslo-Washington, "Bibi" Netanyahu ha fatto quello che per mesi si è rifiutato di fare: ha ammesso, come ogm oppos1z10ne responsabile, che se andrà al governo rispetterà gli accordi sottoscritti, anche se bloccherà ogni ulteriore sviluppo dell'autonomia palestinese. La strada fatta sulla via della pace non dovrebbe, cioè, essere rifatta indietro. Il problema è che l'attuale equilibrio politico-diplomatico-militare non è un e~uilibrio stabile, è un equilibrio dinamico. Funziona - nella misura in cui funziona - perché si continua ad andare avanti. Un po' come la bicicletta: non si casca se si continua a pedalare. Anche i più vir~u~si del surplace alla fine o s1 nmettono m moto o cadono. Solo arrivando a destinazione, trovando veramente un equilibrio stabile si può sperare in una vita più sicura, sia per gli israeliam che per i palestinesi. Il che vuol dire una qualche forma di integrazione. La tragedia di questa fase è che gli "integrazionisti" sono in ritirata nella società israeliana, il sogno di Shimon Peres di creare un "Benelux mediorientale" è arenato sulle secche del terrorismo e delle gelosie economiche regionali. Riprendono fiato, anche nei progetti governativi, le tesi "separazioniste", l'idea di poter sigillare Israele con un vero e proprio "muro" che impedisca fisicamente, o almeno controlli strettamente tutti i contatti tra i palestinesi e la società israeliana. Un'illusione che potrebbe far riemergere l'immagine di un Israele "corpo estraneo" alla realtà mediorientale, con tutti i rischi di "crisi di rigetto" che questa visione ha storicamente creato nel mondo arabo. Una tendenza che ha già indotto una importante mutazione nella società israeliana: l'esclusione dei lavoratori palestinesi per ragioni di sicurezza ha comportato la necessità di importare manodopera da altre parti del mondo. Decine di migliaia di asiatici e di est-europei sono affluiti in Israele con permessi di lavoro più o meno temporanei. Altre migliaia sono arrivati clandestinamente. Una massa di persone che - fanno notare gli esperti - non sarà facile o possibile rimandare a casa, i flussi immigratori avendo la tendenza nei paesi industrializzati a diventare permanenti. Con quale conseguenza per il tessuto sociale dello Stato ebraico? È strategicamente più dest~bilizza1:te _u_n rapporto orgamco con I v1C1ni-cugini palestinesi o l'assorbimento, prima o J?Oi, nella società israeliana d1 mi~liaia di thailandesi e di romem? ♦

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==