tiche. Yasser Arafat, il vecchio combattente, il padrepadrone dell'Olp, ne ha ricevuto una legittimazione. Certo, nel "consiglio dell'autonomia" (in pratica un vero e proprio Parlamento) gli oppositori dichiarati non ci sono, visto che tutte le organizzazioni anti-Arafat (dagli islamici ai gruppi palestinesi del rifiuto) non hanno partecipato al voto. C'è però una non inconsistente pattuglia di "indipendenti" veri (una dozzina su ottanta) che promettono di non lasciarsi intimidire dal carisma di Arafat, dai suoi "lasciatemi lavorare" o anche dal suo apparato repressivo. Esponente tipico di questo gruppo è la signora Hanan Ashrawi, la elegante professoressa universitaria di letteratura inglese che il mondo scoprì come portavoce della delegazione palestinese alle trattative di pace. Tenuta ai margini del negoziato segreto che portò agli accordi di Oslo, la signora Ashrawi si è assunta il ruolo di "coscienza critica" delle nuove istituzioni palestinesi, guidando per esempio un organismo di controllo dei diritti umani. I diritti umani. Questo è forse il campo più deludente del!' edificio che Yasser Arafat sta costruendo. Intendiamoci, la società palestinese è ancora uno dei luoghi più liberi del mondo arabo, ma alcune tendenze "spontanee" dell'autoritarismo arafatiano, unite alle oggettive difficoltà della lotta al terrorismo di matrice islamica, hanno disegnato alcune caratteristiche inquietanti. Preoccupano in particolare i ripetuti tentativi di influenzare la stampa indipendente, anche mediante sequestri di polizia. L'azione repressiva condotta nei confronti degli integralisti di Hamas (spinta dagli israeliani che speravano di aver "appaltato" all'autorità palestinese il controllo dei potenziali terroristi) si è svolta e si svolge senza tanti riguardi alle garanzie giuridiche, contri bu end o, da una parte, a creare nuovi martiri politici e, dall'altra, a spaccare sempre più profondamente la società palestinese. Una tendenza che non è fatta per tranquillizzare i vicini israeliani e, quindi, per facilitare la continuazione del processo di pace. Tutti questi dati di fatto non sono passati inosservati nella società israeliana, la quale intorno al processo inne- ~cato dagli accordi di Oslo s~ e sua volta spaccata come ma, prima d'ora. Una vera e propria crisi di identità culturale e politica, in una parola: nazionale. Una crisi dove la storica preoccupazione per la sicurezza ha nutrito una campagna di sfiducia reciproca tra destra e sinistra che è sfociata nell'assassinio di Rabin. Israele ha scoperto in quel momento di avere al suo interno una frangia di nazionalismo religioso estremista disposta ad andare fino alla fine, fino a infrangere il tabù dell'israeliano che uccide un altro israeliano. Ha scoperto che esisteva anche un terrorismo di matrice ebraica che i servizi di sicurezza interna avevano solo da poco messo a fuoco e che non sono con tutta evidenza riusciti a controllare. I risultati della commissione d'inchiesta, resi pubblici alla fine di marzo, chiariscono che lo Shin Bet ha agito, almeno, con colpevole negligenza nel proteggere Rabin o nel controllare Amir e i SUOI am1c1. Paradossalmente l' assassinio di Rabin ha creato una YS2J;]_
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