La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 14 - aprile 1996

FIGLI. IL RACCONTO DI KENZABURO OE Giancarlo De Cataldo "Tori-bird pensò che il suo bambino aveva la testa {asciata come Apollinaire ferito sul campo di battaglia. Su un campo di battaglia buio, solitario e sconosciuto, il suo bambino era stato ferito alla testa e, come Apollinaire, emetteva grida senza suono... " Lo chiamavano Tori-bird perché, come un uccello, è sempre in Euza da tutto e da tutti. Ha appena avuto un figlio, il primo: ma è nato deforme. Naturale che desideri fuggire: ma prima bisogna liberarsi del bambino. C'è un dottore compiacente, lo nutrirà male. Lui, Tori-bird, non si sporcherà le mani. Passano ore, passano giorni. Il bambino sembra essere più resistente del previsto: i medici sono ottimisti, con un'operazione rischiosa e dall'esito incerto il piccolo potrebbe sopravvivere. Anche se, quasi sicuramente, come un vegetale. Tori-bird è sprofondato in una notte inquieta fatta di sbronze, rimpianti, vergogna e sesso estremo: si sporcherà le mani. Penserà lui a che suo figlio non sopravviva. "Che cosa ha voluto di{endere del f antasma del bambino, compiendo una serie infinita di atti vergognosi? Che cosa c'è in me da dover difendere? si chiese Tori-bird, e rimase sbalordito dalla risposta:assolutamente nulla" Per merito di questa consapevolezza del nulla - cioè della sua meschina finitezza di uomo "normale" - Tori-bird, infine, si arresterà sul margine del gesto estremo. E suo figlio sarà salvo. Kenzaburo Oe, premio Nobel 1994 per la letteratura, scrisse Un 'esperienza personale nei primi anni '60. La storia del giovane padre Tori-bird affonda le sue radici nella biografia dell'autore, padre di un bambino handicappato poi divenuto musicista e anche noto. All'handicap, e alla malattia più in generale, Kenzaburo ha dedicato gran parte della sua opera, compresi gli straodinari racconti raccolti nel volume Insegnaci a superare la nostra fazzia, anch'essi pubblicati in Italia da Garzanti. Il punto di vista di Kenzaburo è quello di un uomo valido, sano, intelligente e sensibile che la vita - o se si preferisce il fato - ha c'ondannato a convivere per sempre con la deformità, la follia, la malattia. In altri termini, il punto di vista di un "normale" che divide la propria esistenza con un "diverso". Kenzaburo racconta i passaggi obbligati di SALUTEEMALAITIA un rapporto diversità-normalità che incombono su chiunque abbia vissuto e viva esperienze ;maloghe. · La ferita narcisistica - sono io, proprio io che ho generato questo prodotto imperfetto? - il desiderio di morte, e infine l'elaborazione del dolore, con il suo continuo alternarsi di speranza e disperazione. Di questo rapporto Kenzaburo, come antico maestro orientale, insegna ad evitare gli estremi e ad accettare l'ineludibile medietà: nessun pietismo consolatorio, nessun ottimismo ingiustificato, e nessuna disperazione, in una scrittura pirotecnica, sorprendente, ricchissima, ma, al contrario, l'individuazione di un miracoloso equilibrio tra religiosità e laicismo. La malattia e la diversità, suggerisce Kenzaburo, possono assumere l'aspetto di un rogo immane. Si può considerare questo rogo un'eSJ?ressione della volontà divina, e lasciarsi avvincere dalle fiamme in una sorta di slancio n:istico. O si può decidere di tenersene lontani. Né la mistica né l'indifferenza aiutano il "normale": e se non si aiuta il "normale", per il diverso ci sono poche speranze. L'equilibrio è una conquista continua, non è mai dato una volta per sempre, qualunque piccolo equivoco senza importanza può rimetterlo in discussione. L'equilibrio è composto in egual misura di elemento religioso - l'accostarsi con rispetto al mistero della diversità - e laico - e il cercare di uscirne vivi almeno in due, il normale e il diverso -. Il punto d'arrivo è in una salvezza concessa aentrambi. E, possibilmente, insieme. Davanti al rogo, Kenzaburo si rimbocca le maniche e cerca l'acsua e la sabbia per spegnere l'incendio, il medico per soccorrere l'ustionato, qualche amico per dividere la pena e la fatica. A lui è concesso perché, in passato, è stato, a sua volta, la vittima che bruciava e l'indiffrente che passava oltre. Perché la vittima' e l'indifferente continueranno a coesistere in lui, e solo la Ragione e la Poesia - il religioso e il laico - consentiranno di sopravvivere. Almeno in due, il normale e il diverso, insieme. Gli psicologi e gli psichiatri conoscono e sanno come affrontare il "desiderio di morte" con cui costantemente convive il "normale" impegnato nell'assistenza del diverso. Un desiderio al quale Kenzaburo ha dato forma eccelsa, durissima, avvincente. Quando il desiderio non è più contenibile, il sano sopprime il malato, il normale elimina il diverso. La mostruosità è categoria che lo scrittore lascia agli ipocriti, a quelli che, davanti al rogo, voltano la testa dall'altra parte, o si lasciano bruciare sperando che, tra tanti indegni, Dio si accorga proprio del loro orgoglio. Chi giustifica l'uccisione di un diverso con l'argomento dell'eutanasia - per porre fine alle sofferenze del diverso - è altrettanto ipocrita: si uccide per liberare se stessi dal fantasma della diversità. L'handical?pato sa anche come essere felice, non scarichiamo su di lui la ferita di noi normali, non pretendiamo che sappia farci felici. "Perché le cose vadano bene in ospedale, prima di tutto bisogna entrare nello spirito della lotta. Non è il caso di comportarsi in modo

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