La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 14 - aprile 1996

caratteristica di non poter essere risolto e superato. Un problema quindi da "gestire"; da gestire nel tempo. Un tempo che, nonostante l'apparente, logorante staticità delle situazioni, impone modifiche e cambiamenti. Conosco famiglie che non hanno saputo sfuggire alla sfiducia e alla rassegnazione, credo vi sia una via obbligata: trasformare il "proprio" problema in un problema più grande, in un certo qual modo dilatarlo, affiancarlo a quello di altre persone che vivono analoghe, difficili relazioni. In sostanza "condividere" il problema con altri, allargare ulteriormente la sfera della condivisione. L'alternativa è l'isolamento o la totale delega ad altri, scelte entrambe che si risolvono nella rinuncia, come famiglia, a un ruolo attivo e positivo. Condivisione dunque. Altri concetti si sono faticosamente affermati in questi anni, concetti fondamentali per diffondere e aprire la strada a un nuovo modo di pensare e affrontare il disagio mentale e la sua emarginazione: la "solidarietà", l"' accoglienza", l'" integrazione". Il concetto di condivisione mi sembra che li accolga in sé tutti quanti, ma allo stesso tempo li superi e li completi. Certo l'idea di solidarietà di cui si parla o&- gi è ben diversa da quella di stampo deamicisiano, un sentimento che non sapeva aprirsi al confronto e all'accoglienza, che si limitava a commiserare non mettendo in discussione emarginazione e separatezza, risolvendosi in uno sterile pietismo. Nell'idea di solidarietà c'è comunque la presenza di una separazione, tra chi manifesta, anche in modo fattivo, la propria solidarietà, e chi ne è l' oggetto. Analogamente si può dire dell'accoglienza: c'è chi accoglie e chi è accolto; c'è il soggetto e l'oggetto dell'accoglienza. L'idea di condivisione elimina questi livelli diversi e, senza necessariamente annullare differenze e ruoli, restituisce "soggettività" a ognuno. Trova un "ambiente condiviso" il "visitatore occasionale" che non è in grado di "riconoscere l'ammalato, il medico, l'infermiere" all'interno dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, come racconta Carla. Ma ho in mente anche un'esperienza personale: una vacanza al mare che si ripropone ormai da vari anni, una "vacanza condivisa" da bambini, ragazzi, giovani, adulti in difficoltà per motivi diversi, insieme a familiari, amici, volontari, organizzata dall'associazione Primavera di Lanuvio, il paese vicino Roma dove vivo con la mia famiglia. È un'esperienza e una ricerca di vita in comune che si sforza, attraverso la gestione della vita quotidiana e l'impegno per soddisfare le ne'cessità di ognuno, d1costruire relazioni possibili al di là delle esigenze diverse. L'eccezionalità delle situazioni citate, una "comunità ospedaliera sperimentale", la "vacanza", non toglie valore a queste esperienze, così come a tante altre. Si tratta piuttosto di capire come uscire dalla condizione di eccezionalità, come allargare e diffondere nella quotidianità questo tipo di relazioni possibili. Forse non è sempre facile capire la differenza tra solidarietà e condivisione, il sottile confine che le distingue. Credo che un'esperienza veramente condivisa si caratterizzi per lo "spirito" con· cui si affrontano le situazioni comuni, per il riconoscimento che viene dato alla soggettività di ogni individuo, che riesce in questo modo, a trovare i canali comunicativi per manifestarsi. ♦ SALUTE MAIA771A

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