La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 14 - aprile 1996

disturbo mentale venivano ridotti essenzialmente alla presunta "pericolosità" e all'eventuale "scandalo". È naturale, partendo da tali premesse, si parlasse prima di "custodie" che di cura. Una sfilza di "autorità" risultavano "preposte" ad occuparsi e decidere la sorte dell"'alienato": dai pretori ai pubblici ministeri, dai presidenti di tribunali ai notai, dalle autorità di pubblica sicurezza ai direttori dei manicomi, dai prefetti allo stesso ministero degli interni. Tutti mobilitati, "nell'interesse degli infermi e della società", per garantire "il potere disciplinare" e la "vigilanza". Dunque una questione essenzialmente di ordine pubblico. E i medici? E gli specialisti? Chi doveva occuparsi delle diagnqsi, delle terapie, delle cure e dell'assistenza? La legge menzionava marginalmente un "medico provinciale", e un non meglio definito "medico alienista", oltretutto "nominato dal ministero dell'Interno". Non solo le famiglie e gli "alienati" venivano in massima parte esclusi dalla possibilità di decisione e di scelta, ma la legge poneva le stesse autorità mediche in una posizione marginale e di secondo piano. La separazione e la segregazione del "matto" hanno caratterizzato le disposizioni di legge, ma anche la morale e il sentire comune, attraverso tutta l'epoca moderna. "Nell'età medievale il folle, pur incarnando con la sua patologia devianza e trasgressione, per altro, ferocemente punite, era non di meno ammesso ai margini della comunità. Ma al declino del medioevo (la 'nave dei folli', strano battello ubriaco che fila lungo i fiumi della Renania e i canali fiamminghi, ne è il sintomo) i pazzi cominciano ad essere espulsi dalle città e rimossi dalla comunicazione sociale con la comunità dei savi che producono, obbediscono e comandano. SALUTEE MALATTIA Da questo momento in poi si costituisce la 'criminalizzazione' della follia, la sua segregazione e repressione nel manicomio" (dalla presentazione de La storia della follia nell'età classica di Miche! Foucault). Gli istituti "- ... poveri ragazzi, quando si entra per la prima volta nell'Istituto dei ciechi, durante la ricreazione, a sentirli suonar violini e flauti da tutte le parti, a parlare forte e ridere, salendo e scendendo le scale a passi lesti, e girando liberamente per i corridoi e per i dormitori, non si direbbe mai che sono quegli sventurati che sono ... Derossi domandò se non si poteva andarli a vedere. - Si può, - rispose il maestro; - ma voi, ragazzi, non vi dovete andare per ora. V'andrete più tardi, quando sarete in grado di capire tutta la grandezza di quella sventura, e di sentire tutta la pietà che essa merita. È uno spettacolo triste, figlioli". "Oggi ho fatto vacanza perché non stavo bene, e mia madre mi ha condotto con se all'Istituto dei ragazzi rachitici, dove è andata a raccoma,ndare una bimba del portinaio; ma non mi ha lasciato entrar nella scuola ... -Non hai capito perché, Enrico, non ti lasciai entrare? Per non mettere davanti a quei disgraziati, lì nel mezzo della scuola, quasi come in mostra, un ragazzo sano e robusto: troppe occasioni hanno ~ià di trovarsi a dei paragoni dolorosi. Che tnste cosa!" "- Ma volevo domandare: come va l'istruzione della mutina, dica un po'? Io l'ho lasciata che era come un povero animaletto, povera creatura.( ...) E grazia che s'è trovato un signore caritatevole che ha fatto, le spese dell'Istituto. Ma tanto ... prima degli otto anni non c'è potuta andare. Son tre anni che non è in casa... La porta s'aperse: entro una maestra, vestita di nero con una ragazza per mano.( ...) La ragazza era vestita di rigatino bianco e rossiccio, con un grembiule bianco". Quello che oggi colpisce nel romanzo, considerato un vero e proprio "vangelo laico per i fanciulli" di varie generazioni, è comune la spinta a capire, il sentimento di pietà, lo slancio generoso verso chi soffre, non suscitino il minimo dubbio, non scalfiscano in alcun modo la c~rtezza in una 1:-ecessaria,rigida, separazione e segregazione. Tanti erano gli "istituti" nell'Italia di De Amicis, e tanti erano i bambini e i ragazzi dietro quelle porte. Nel suo Cuore insiste e ritorna spesso per descriverne la vita. Le risposte sono diverse, le giustificazioni e motivazioni sono diverse, quel che ne consegue è unico: vivere in condizione di separatezza, per chi è "diverso", è qualcosa di ineluttabile e immodificabile. Il romanzo è del 1886. Per molti anni ancora le cose non sono cambiate in modo significativo. Quelli della mia generazione difficilmente hanno avuto l'occasione di conoscere e frequentare bambini e ragazzi che oggi ci siamo abituati a chiamare "porta-

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