La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 14 - aprile 1996

Una famiglia che si chiude in se stessa, nella propria sfera esclusiva, a governare una vita assente dalle consuete dinamiche temporali, rischia di perdere un po' alla volta il senso di appartenenza alle altre sfere, quelle sociali, fino al completo mimetismo. E se all'esterno, apparentemente, nulla trapela, la famiglia e i suoi componenti vanno perdendo la loro identità, il loro status, fino a che "non se ne vede più nulla, neanche la bandiera sul tetto". Chi è fuori da tutto questo un primo dovere credo ce l'abbia: smettere di sorprendersi se, e quando, l'epilogo è appunto tragico. Perché la _m~rte di quella _famigli~:come di altre} commciata molto pnma del gesto estremo . La famiglia handicrppata Sappiamo come ie famiglie, tutte le famiglie possano avere due facce: una pubblica, sociale, quella che "appare", e una privata, intima, protetta, e nascosta, dalle mura domestiche. Difficili e delicati equilibri possono garantire la convivenza di queste due "anime". Ma se questi equilibri saltano, se addirittura "scoppia la tragedia" e la famiglia improvvisamente, diventa oggetto delle cronache dei giornali, svanisce in un attimo la faccia P,alesee appaiono, in tutta la loro evidenza, le difficoltà e le sofferenze a lungo rimaste nascoste. Quante volte abbiamo ascoltato le dichiarazioni di "vicini" che non sanno darsi spiegazioni, "sorpresi" per qualcosa che "non si sarebbero mai aspettati che accadesse". Vivere accanto, e insieme, al disagio mentale, vuol dire vivere quotidianamente accanto a qualcosa di misterioso: al non compiuto, al non risolto, al non espresso, al non capito. Quando un bambino, un ragazzo, un giovane, un adulto, un vecchio, non sono autonomi, in tutto o in parte, quando i pensieri di una persona sono inadeguati al vivere individuale o al vivere sociale, è necessario che qualcuno si occupi di lui o di lei. Per chi se ne fa carico vuol dire di aver cura di un altro corpo oltre al proprio, vuol dire sostituire, con la propria mente, la parte inadeguata della mente di chi ci sta accanto. Vuol dire protrarre le cure parentali, rivolte al bambino o al ragazzo nei primi anni della vita, oltre il tempo naturale. Il disagio mentale non modifica profondamente soltanto i rapporti e gli equilibri interni di un nucleo familiare, il disagio mentale modifica gli equilibri interni di ogni componente della famiglia. E la famiglia, e ogni suo membro, vanno caricandosi di sentimenti contrastanti: di slanci e delusioni, di voglia di reagire e di frustrazioni, di generosità e di risentimenti. Stanchezza e rassegnazione possono prendere il sopravvento. Il confronto con ''l' esterno" può diventare faticoso e penoso. L'autoisolamento _euò apparire la scelta più facile, la forma di difesa più a portata di mano. Ricordare, e insistere, su guesti aspetti è necessario perché, se non li temamo ben presenti, non si capisce il fatto che l'handicae psichico non riguarda quasi mai soltanto il suo cosiddetto "portatore" ma è all'interno e riguarda un "sistema" che, facendosene carico, ne condivide e sostiene il peso. In altre parole, dietro, o forse meglio "intorno", al "portatore di handicap" psichico, c'è quasi sempre una famiglia che vive il disagio e il disadattamento, nella vita quotidiana e nei rapporti sociali, c'è in sostanza una "famiglia portatrice di handicap". Dalla nave dei folli al manicomio Credo sia la famiglia, oggi, la struttura che si trovi ad assumere un ruolo centrale di fronte al disagio psichico. Non solo perché, nella maggior parte dei casi, se ne fa carico direttamente almeno per un lungo periodo di tempo, ma anche/erché rappresenta la "continuità" rispetto a altre istituzioni e ai diversi tipi di "intervento esterno". È la famiglia inoltre a essere caricata e gravata dal peso e dalla responsabilità delle decisioni: spetta a lei la scelta degli specialisti per la diagnosi, le cure, la terapia; è la famiglia che si trova di fronte all'alternativa tra il richiedere o il non richiedere l'intervento a scuola dell'insegnante di sostegno; è la famiglia a interrogarsi se, come 6 quando rivolgersi a un centro o a un istituto di accoglienza. Sappiamo bene che non è sempre stato così. Fino a non molti anni fa !'"istituzionalizzazione" e !"'internamento" erano provvedimenti quasi inevitabili e automatici per la maggior earte delle persone che soffrivano di disturbi psichici: per i bambini e i ragazzi c'erano gli istituti o le scuole speciali per gli adulti le cliniche psichiatriche o i manicomi. I primi due articoli delle "Disposizioni sui manicomi alienati" (legge n. 36 del 14 febbraio 1904) erano espliciti in questo senso: "Articolo 1 - Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a se e agli altri o riescano di p_ubblicoscandalo e non siano e non possano essere convementemente custodite e curate fuorché nei manicomi ... Articolo 2 - L'ammissione de~li alienati nei manicomi deve essere chiesta dai parenti, tutori o protutori, e può esserlo da chiunque altro nell'interesse degli infermi e della società..." I problemi posti dal SALUTEEMALATTIA

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